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La bellezza si stima dal giudizio dei propri occhi,
E non dall’elogio della lingua interessata a esaltarla
Beauty is bought by judgement of the eye,
Not uttered by base sale of chapmen’s tongues
("Pene d'amore perdute", atto II, scena I)
Bellavista Social Club - Trama e argomenti - Il mistero in una cassa - Allora Fontana è arte - Un tiro "Mancini" - Smetto quando voglio
Bellavista Social Club
Si può fare un film che parli di filosofia (in particolare quella greca classica) seriamente, ma che parli in modo semplice e comprensibile, che illustri in modo filosofico gli usi
e i (mal)costumi partenopei con amore, confrontando con benevolenza ai (mal)costumi nordici e che sia comico da strappare le risate?
Si può, a patto però di essere
Luciano De Crescenzo.
Questo vulcanico ingegnere ex-IBM che ha fatto le scuole elementari insieme a Carlo Pedersoli, alias
Bud Spencer (un mito tira l'altro!),
ha deciso ad un certo punto della sua vita di diventare "scrittore divulgatore di discipline umanistiche".
E c'è riuscito molto bene.
Il personaggio di Bellavista parte da un libro che aveva l'intento di rendere comprensibile la filosofia, il pensiero napoletano a degli amici del nord;
poi questo libro si è sviluppato in due film con la collaborazione di uno co-sceneggiatore altrettanto brillante, cioè
Riccardo Pazzaglia,
e un cast di attori veramente bravi e azzeccati per i personaggi.
I volti più noti sono probabilmente quelli nell'entourage di
Renzo Arbore
(accreditato nei titoli per le musiche) e che erano diventati famosi in quel periodo grazie alla trasmissione
"Quelli della notte", e sono precisamente
Marisa Laurito,
Andy Luotto
e lo stesso Riccardo Pazzaglia.
Anche gli altri attori sono comunque eccezionali pur non essendo altrettanto famosi, o magari famosi lo erano per gli appassionati di teatro.
Trama e argomenti
Per la trama rimando anche alla solita Wikipedia,
e in generale da qui in poi non potrò parlare della trama e degli argomenti toccati senza fare spoiler: a chi non ha visto il film posso suggerire di cercarlo su YouTube.
Non metto il link perché fuori da Wikipedia è come scrivere "ti amo" sul bagnasciuga, magari dura qualche giorno magari no,
però credo che dietro i diritti non ci siano avide e aride multinazionali ed essendo un film del 1985 forse resta disponibile.
Si presenta come un giallo e il riferimento principale è anche esplicitamente citato all'inizio:
"La finestra sul cortile"
di Alfred Hitchcock con James Stewart e Grace Kelly, dove il protagonista, il fotoreporter di successo "Jeff" Jefferies assiste,
seppur in modo incompleto, ad un omicidio, e da lì inizia un'indagine personale.
Nel nostro caso non si assiste all'omicidio da una finestra, ma dal tetto di un palazzo con un telescopio portato per osservare la cometa di Halley.
Il tutto era stato organizzato dal professor Bellavista (De Crescenzo), ma le osservazioni del delitto sono fatte dal "vice sostituto portiere" Salvatore
(Benedetto Casillo) e dal netturbino Saverio (Sergio Solli).
Subito dopo l'avvistamento i nostri tre eroi partono per il palazzo dove si sospetta sia avvenuto il fattaccio e da lì in poi si scatena l'indagine.
Ci sono diverse scene che fanno il verso alle scene di suspense classiche, sia horror che thriller, e il film si apre con proprio due di queste:
la scena del capitone che Rachelina (Marina Confalone) moglie di Salvatore interpreta con lo sguardo assassino e il coltello da cucina brandito a mo' di arma,
e quella dove Salvatore e Saverio si aggirano nell'appartamento della presunta vittima di notte durante un temporale da tregenda.
Sono di una comicità molto fine che potremmo definire internazionale giusto per distinguerla da altre scene con un altro tipo di comicità,
più spiccatamente partenopea, che riguarda specificatamente situazioni che forse si possono trovare solo a Napoli.
Queste situazioni sono rappresentate da piccoli imbrogli "di sopravvivenza",
non veri e propri crimini ma innocenti piccole truffe come quella dell'autobus,
dove alcuni vecchietti organizzati, e sincronizzati con un complice su un'auto che costringe il mezzo a frenare bruscamente,
si buttano a terra simulando contusioni e danni vari per farsi rimborsare dall'assicurazione.
O come le due vecchiette che simulano la presenza di un nipote matto e pericoloso in casa per non essere sfrattate.
Insomma: tutti piccoli imbrogli, ricchissimi di fantasia e creatività, di fronte ai quali si resta così ammirati da non riuscire a fare i moralisti.
A questo aggiungiamo le dissertazioni filosofiche del professor Bellavista che in parte giustificano e in parte invitano alla tolleranza.
Ma questi sono tutti aspetti che già comparivano nel primo film,
"Così parlò Bellavista"
(con chiaro riferimento al "Così parlò Zarathustra").
Il mistero in una cassa
La piacevole novità di questo secondo film è rappresentata dalle considerazioni sull'arte.
Dentro una bellissima cornice di filosofia e napoletanità troviamo un mistero, il mistero di Bellavista per l'appunto,
che non è quello di un omicidio che (spoiler) non c'è mai stato, ma è quello dell'arte.
Tutto parte da una cassa di legno che esce dal condominio del mistero e viene caricata su di un'auto: si sospetta che ci sia stato un omicidio ma manca il
corpus delicti,
non si sa se la signora Jolanda sia stata veramente uccisa oppure no.
Nel caso sia stata uccisa, come è stato fatto sparire un cadavere? Come portarlo via dal palazzo se è ancora lì?
Ed ecco che compare la cassa nel momento clou della discussione.
Nel seguire la cassa, durante un inseguimento "alla napoletana", cioè tutti fermi in coda, inseguitori e inseguito,
scoprono che il proprietario della cassa è il marchese Buonajuto (Riccardo Pazzaglia),
un nobile decaduto esperto d'arte che per arrotondare fa la guida al museo d'arte moderna.
I nostri investigatori decidono perciò di raggiungerlo con calma al museo.
E qui cominciano le considerazioni che, a mio avviso, rappresentano un colpo al cerchio e uno alla botte
all'arte contemporanea e all'arte (diciamo così) più "classica".
Allora Fontana è arte
Riassumo brevemente due scene, quella al museo ascoltando la guida e quella fuori bevendo una limonata.
Dentro il museo i tre investigatori (Bellavista, Salvatore e Saverio) seguono le spiegazioni della guida, il marchese Filiberto Buonajuto di Pontecagnano.
Questi descrive quelli che possiamo considerare dei classici dell'arte contemporanea:
- Uno dei tagli di Lucio Fontana ("questo non è un quadro, come vogliamo chiamarlo? Io lo chiamerò un concetto spaziale")
- Un Burri ("Facciamo qualche passo indietro e ora quando lo dirò io guardate l'opera e sentirete un'emozione")
- E infine un Wesselmann punto cruciale della discussione successiva: un bagno riconducibile al più famoso
"Bathtube#3",
riporto da Wikipedia:
"Un'opera molto significativa di questo periodo è Bathtube#3 del '63 in cui la sagoma di una donna nuda e bianca si asciuga nella sua doccia.
Sono reali la tendina rossa di fianco alla donna, il tappetino, la porta bianca e il cestino. Il gioco dei colori puri è sofisticato e sembra quello di un quadro astratto
[...] Non è un dipinto, ma non è neanche un ambiente: tutto è piatto, pulito. brillante, non c'è prospettiva e tutto quello che non è oggetto sembra carta da parati".
Fuori dal museo sul Fontana e sul Wesselmann c'è la più famosa e citata conversazione dell'intero film: è arte o è 'na strunzata?
Saverio (che "tiene la terza media") si fida, si appoggia a chi ne sa più di lui, e quindi si pasce nell'apprezzare quest'arte.
Salvatore invece è piuttosto critico: è 'na strunzata!
Bellavista cerca a questo punto di mediare con
Protagora:
Salvatore: Ah, il famoso Protagora!
Saverio: Quello del teorema, professo'?
Salvatore: Eh, 'o teorema 'e Protagora.
Bellavista: No, quello è un'altra cosa, quello è Pitagora, questo è Protagora di Abdèra.
Salvatore: Abdèra?
Saverio: Ah, di Abdèra!
Bellavista: Diceva Protagora di Abdèra: "L'uomo è la misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono". [...]
Salvatore: Esattamente.
Bellavista: Eh, allora...
Salvatore: Significa...?
Saverio: Lo vedi che sì ignorante, non hai capito niente! Professo', spiegateglielo bene!
Bellavista: Significa questo, significa questo: in pratica, Protagora dice che l'uomo è l'unico giudice, il centro dell'universo. Quindi, se l'uomo Salvatore...
Salvatore: Io?!
Bellavista: ... pensa che Fontana è solo uno che sfregia i quadri...
Salvatore: Bravo, bravo!
Bellavista: ... che li rompe, eh!, allora Fontana non è arte.
Salvatore: 'Na strunzata!
Saverio: Aspetta!
Bellavista: Se invece l'uomo Saverio pensa che i quadri di Fontana son belli perché ogni volta che vede un quadro di Fontana lui sente un'emozione...
Saverio: Bravo!
Salvatore: No, non la sente l'emozione...
Bellavista: ... allora Fontana è arte. Concludendo, Protagora dice che Fontana è arte e non è arte. Questo è tutto.
Saverio: Ah! E stamo punto e da capo.
L'ultima parola però la metterà Salvatore, partendo da un episodio successo ad un suo amico muratore che aveva ritrovato un quadro di Luca Giordano ("un capolavoro!")
durante dei lavori in una villa (e si è preso pure un bella mancia).
Ora se un muratore del tremila troverà in uno scantinato un'opera di Wesselmann, penserà di avere tra le mani un capolavoro o 'no cesso scassato?
La risposta degli altri due è unanime e sembra mettere la parola fine alla discussione.
O almeno così sembra.
Un tiro "Mancini"
Al museo Bellavista smaschera il marchese: sembra che nelle sue spiegazioni ci sia più ironia che convinzione.
E in effetti il marchese spiega di essere un appassionato della
scuola di Posillipo
e invita il professor Bellavista a casa sua che ha qualcosa di interessante da mostrargli.
Quel qualcosa si rivela essere un quadro di
Antonio Mancini,
"L'infermiera", ereditato da sua moglie ma che lui, per necessità, mette in vendita seppur malvolentieri.
Al momento della vendita la moglie entra nella stanza e si mette a fare una scenata, degna delle migliori sceneggiate napoletane,
e mentre marito e moglie vengono alle mani (spoiler: la scena vista al telescopio che ha scatenato l'intera vicenda) il marchese invita
Bellavista a prendere il quadro e ad andare.
Quando il professore poi incontrerà un vicino con lo stesso identico quadro acquistato nello stesso modo, il dubbio, o meglio la certezza,
di essere stati truffati li porterà dal marchese Buonajuto a chiedere spiegazioni.
"Ma che truffati! Andiamoci piano con le parole: voi non avete comprato un quadro, ma un'emozione":
insomma non hanno comprato solo il quadro, ma compresa nel prezzo c'era anche la sceneggiata dell'acquisto con la relativa emozione.
Ecco che abbiamo una duplice stoccata all'arte classica.
Innanzitutto c'è una sottolineatura sulla riproducibilità: se davanti ad un taglio di Fontana c'è sempre l'immancabile ingenuo che afferma
"questo avrei potuto farlo anch'io", davanti ad un quadro figurativo si potrebbe dire lo stesso, è solo una questione di tecnica.
L'infermiera in questione era prodotta in serie, a mano certo, ma sicuramente con differenze minime, non rilevabili.
Anche il Luca Giordano della cantina della villa avrebbe potuto essere un falso, "copia del" o "alla maniera di", ma pur sempre un falso.
Poi magari come quadro antico (i falsari ci sono sempre stati) avrebbe avuto un po' più di valore, però il concetto è uguale.
Poi abbiamo anche una palese, clamorosa, contraddizione in cui cade lo stesso Belavista:
fuori dal museo aveva sentenziato salomonicamente (forse dovrei dire "protagoricamente", ma temo i sicari dell'Accademia della Crusca):
Se l'uomo Salvatore pensa che Fontana è solo uno che sfregia i quadri che li rompe, eh!, allora Fontana non è arte. Se invece l'uomo Saverio pensa che i quadri di Fontana son belli perché ogni volta che vede un quadro di Fontana lui sente un'emozione, allora Fontana è arte. Concludendo, Protagora dice che Fontana è arte e non è arte. Questo è tutto.
Quindi il falso Mancini è arte e non è arte in generale, ma in particolare per l'uomo Bellavista anche una volta scoperto l'imbroglio,
il quadro più la sceneggiata che gli hanno dato un'emozione devono essere arte. Questo è tutto.
E infatti entrambi gli acquirenti tornano a casa con i propri quadri arricchiti da un'emozione in più,
forse non del tutto positiva, ma certamente molto istruttiva.
Smetto quando voglio
Come dico spesso non è bello fare analisi simboliche, spezzare i film in oggetti a cui attribuire significati particolari:
non è bello, cercherò di non farlo più, e infatti questa che propongo è come
l'ultima sigaretta
di Zeno Cosini.
- Cassa. Mi riferisco alla cassa che i protagonisti vedono uscire dal palazzo e che potrebbe contenere il corpus delicti,
inteso sia come la prova dell'avvenuto crimine, che come il corpo della signora Jolanda.
Insomma dentro la cassa c'è la verità, però la cassa non può essere aperta, come nel caso della novella pirandelliana
"La signora Frola e il signor Ponza, suo genero".
Ma filosoficamente potremmo ricorrere nuovamente a Protagora e dire che nella cassa "c'è un cadavere" e "non c'è un cadavere",
dipende tutto dall'osservatore, e a questo punto questa scatola di legno diventerebbe sostanzialmente analoga alla scatola del
gatto di Schrödinger:
il gatto è sia vivo che morto fin che non interviene l'osservatore, ovvero fin che non si apre la scatola.
- Fontana. Se ad un'estremità mettiamo Lucio Fontana con i suoi tagli nelle tele, e all'altra mettiamo Wesselmann con il suo bagno quasi
Ready-made,
con una manovra cialtronesca degna de "Il bersaglio" de "La settimana enigmistica" potremmo mettere in mezzo la più famosa opera del Ready-made:
la celebre "Fontana" di Marcel Duchamp.
- Spazzatura. Nel film c'è un grosso filone dell'indagine che passa dalla spazzatura.
I nostri investigatori per conoscere meglio gli inquilini del palazzo ne analizzano la spazzatura con l'ausilio di un'esperta, Rachelina, la moglie di Salvatore.
Ed effettivamente durante l'analisi della "monnezza" ci rendiamo conto che questa racconta tutto di noi, al punto che Bellavista constata che
"è più sincera l'immondizia che la dichiarazione dei redditi. Secondo me il ministro delle finanze,
invece di fare gli accertamenti, dovrebbe pesare e analizzare l'immondizia di tutti gli italiani:
solo così riuscirebbe a trovare gli evasori fiscali. Noi potremmo dire in immonditia veritas".
Tornando all'arte una decina d'anni dopo questo film Tommaso Labranca pubblicava il famoso, per me fondamentale, saggio
"Andy Warhol era un coatto. Vivere e capire il trash ",
dove rilevava come il trash è sostanzialmente un'emulazione fallita di un modello "alto",
e solitamente è fallita a causa della mancanza di talento, di contaminazioni discutibili o di mancanza di mezzi.
Però il trash è arte per i palati fini di quelli che lui chiama "giovani salmoni del trash", ed è un'arte che nasce dalla modernità.
Nell'antichità o ancora oggi in zone rurali o comunque dove la vita è più tradizionale, più semplice, non c'è spazzatura, tutto viene riciclato.
Ecco quindi che se l'arte contemporanea propone cose apparentemente improponibili, che si potrebbero interpretare come immondizia (un cesso scassato ad esempio),
uno dei motivi è che l'arte rappresenta lo specchio della società.
E per chiudere il discorso su arte contemporanea e film vorrei ricordare il decisamente più famoso "Tre uomini e una gamba", di Aldo, Giovani e Giacomo. La gamba in questione era un "Garpez", artista di fantasia la cui opera oggetto del film, una scultura in legno rappresentante una gamba, è stata ispirata da un quadro di Antonio Bueno, "La gamba dell'eroe".
Giovanni: Scusate ma... centosettanta milioni per questa merdina qua? Ma dai, è una follia!
Giacomo: Ma che follia, che follia? Ma lo sai che questo qui è un Garpez, uno dei più grandi scultori viventi?
Giovanni: Ma scultore che cosa? Ma guarda che il mio falegname con trentamila lire la fa meglio. Va', non ha neanche le unghie!
Aldo: Cosa se ne fa nostro suocero di una scultura di centosettanta milioni?
Giacomo: Eh certo! Siccome uno fa il ferramenta non gli può interessare l'arte moderna. Bravo, bravo! Continuiamo a ragionare per luoghi comuni! Bravo!
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