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Ultimo aggiornamento: 15 Maggio 2021 (Floréal - Fusain)

Ma come fare non so
Sì, devo dirlo, ma a chi
Se mai qualcuno capirà
Sarà senz'altro un altro come me

(Rino Gaetano, "Ad esempio a me piace il sud")

Filmini anni '60: un'alta testimonianza in bassa qualità

Hanno più di cinquant'anni, la qualità dell'originale (Super 8? 8 Single? non me ne intendo, non saprei dirlo) era per definizione scarsa e come se non bastasse hanno avuto un passaggio intermedio fatto in modo molto artigianale su VHS. Eppure ho pensato che forse potevano essere interessanti e, anche se nella fattispecie sono ricordi di famiglia, mi hanno dato lo spunto per fare alcune riflessioni generali.
Si chiamavano amichevolmente "filmini" per un giusto senso della misura rispetto ai film veri, e il termine "video" non avrebbe avuto senso all'epoca: il loro destino era di venire proiettati su di uno schermo o sul muro bianco con un proiettore. La durata era di pochissimi minuti, essendo le macchine da presa portatili, ma potevano poi essere uniti incollandoli manualmente, ma non è questo il caso: il montaggio è mio.

Ecco in estrema sintesi la trama dei 6 minuti qui proposti: un primo tempo al mare dove un uomo vestito da donna si esibisce per un gruppo di amici (o conoscenti delle case vicine?) suscitando l'ilarità delle signore, un intervallo dove una signora parla dal balcone di casa forse intervistata dall'operatore, e infine un secondo tempo col reportage di una gita sul lago di Como. A seguire sotto le mie considerazioni.



Lasciamo la qualità video agli uomini senza immaginazione

Spero che Proust mi possa perdonare per questa parafrasi del suo famosissimo aforisma, ma il risultato è veramente azzeccato. La scarsissima qualità amplifica l'effetto descritto su Wikipedia a proposito della rinascita del Super 8 nel nuovo millennio: "Alcuni cercano di imitare l'aspetto dei vecchi film domestici o di creare un aspetto elegantemente granuloso; altri vogliono creare look alternativi per sequenze di flashback e stati di coscienza alterati".
Ovviamente qui non c'è nessuna imitazione, ma siamo nell'originale dei "vecchi film domestici", e gli stati di coscienza alterati sono vicini al sogno, anzi possiamo dire che questi filmini sono fatti "dello stesso materiale dei sogni" come dice Prospero ne "La Tempesta".

Rinasco, rinasco del mille novecento sessanta

Altra parafrasi, altro grande autore: si tratta ovviamente di Guido Gozzano ne "L'amica di nonna Speranza", la celebre poesia che scaturisce da una dedica: "«... alla sua Speranza la sua Carlotta ... 28 Giugno 1850.» / (dall’album: dedica d’una fotografia)".
Qua siamo nella stessa situazione, non è un amarcord perché per fortuna o purtroppo non ero ancora nato all'epoca. Per fortuna perché non sono così vecchio, purtroppo perché in fondo come Gozzano non amo che le rose che non colsi: mi illudo che forse quelli fossero tempi felici, più semplici, più sinceri, più profondi.
Come Gozzano con l'album di fotografie, anch'io trovo questi filmini, li guardo, supplisco alla mancanza del sonoro con musiche dolci e rinasco in quei momenti felici. La granulosità del sogno cancella la durezza della realtà e mi ritrovo in questa realtà forse non vera, ma certamente bella.

Contestualizziamo

Siamo più o meno all'inizio degli anni '60 in Italia (forse prima): le grandi rivoluzioni culturali erano iniziate in Francia, negli USA, ma qui da noi c'è stato poco e più verso la fine del decennio. In questi filmini vediamo uomini e donne quarantenni, forse anche più giovani, che si sarebbero potuti definire borghesi, o quantomeno più borghesi che proletari. Ma queste definizioni sarebbero arrivate dopo: in quel momento erano uomini e donne normali del loro tempo.
Sembrano più vecchi perché allora gli abiti erano una cosa seria: gli uomini erano vestiti da uomini (giacca e pantalone), le donne erano vestite da donne (con la gonna!). Oggi è un tipo di abbigliamento in disuso, ormai adatto solo per le cerimonie, che fa sembrare più vecchi e più seri. I quarantenni di questo nuovo millennio sono spesso indistinguibili dai giovani, perché vivono in una non accettazione dell'età, dell'incedere del tempo.

Ecco che in questo contesto di abbigliamento ben diviso e definito, un uomo trasgredisce, si veste da donna e comincia a ballare e a scherzare con i presenti. Tutti si divertono, e in particolare le donne ridono molto: potrebbe succedere oggi? No, decisamente no. In questo mondo appaiato e annoiato, in una cultura satura di stimoli televisivi, cinematografici e video amatoriali, forse solo Arturo Brachetti riuscirebbe a riscuotere un sorriso improvvisando in questa maniera un piccolo show privato.
Poi, come dicevo all'inizio, c'è un piccolo intermezzo con una donna che parla sul balcone di casa ed è visibilmente imbarazzata da questa "nuovissima cosa": la macchina da presa. Cerca di essere seria, ma allo stesso tempo anche sorridente, si guarda attorno, guarda in macchina, parla ... cosa dice? Lo ignoro. Quello che so di sicuro è che adesso nei video amatoriali, sia per uso personale che pubblicati in Internet, nessuno ha più questo sano imbarazzo.

E dopo quest'annunciatrice che ci ricorda le "Signorine buonasera", si arriva al secondo tempo: la gita sul lago di Como.
Oggi è una cosa banale, da due ore e 17 minuti secondo "Google Maps", da fare in giornata e postando in diretta foto e video sui social per dare un senso alla gita. A posteriori però non si può certo raccontare come un'avventura: suvvia, Como non è la Patagonia!
All'epoca le auto erano quel che erano, mentre invece le autostrade non c'erano ancora, sarebbero arrivate poi. Insomma era un'avventura. Ma nonostante le scomodità, l'abbigliamento era quello elegante, non certo sportivo, comodo, rilassato. Le riprese con la macchina erano un'assoluta novità: si vede chiaramente quando si mettono in posa, o quando fanno finta di essersi appena incontrati sul lungolago.
In questo secondo tempo troviamo un'altra piccola trasgressione: oltre alla bimba, anche una donna va in altalena. In quei tempi da noi così distanti, i ruoli non solo erano ben delineati e distinti tra uomini e donne, ma anche tra adulti e bambini. Nessuna donna dai diciott'anni in su avrebbe mai indossato una maglietta kawaii con "Hello Kitty", e quell'andare in altalena come una bimba è una concessione di spensieratezza, di ammissione di felicità.

Tutto sommato, la felicità / è una piccola cosa

Guardando e riguardando queste scene, mi sono chiesto cos'era che mi colpiva veramente. Le auto e l'abbigliamento dell'epoca? Il fatto di vedere com'erano da giovani persone conosciute poi avanti negli anni? L'ambientazione quasi onirica data dalla patina della scarsa qualità?
Quello che mi ha colpito e mi interroga è proprio quella "piccola cosa", come l'ha chiamata Trilussa: la felicità. Forse non era autentica, forse è solo una mia fallace impressione, però ...

Io individuo almeno due fattori alla base di questa piccola felicità, forse illusoria, forse simulata, ma in qualche modo presente in questi filmini.
Il primo fattore è cronologico e anagrafico: avere circa quarant'anni a metà anni sessanta voleva dire essere stati giovani durante la guerra ed essere sopravvissuti, per poi trovarsi in un tempo di pace, serenità, lavoro, svago. Se da solo questo fattore sarebbe potuto bastare a giustificare la felicità, essere in vacanza al mare o in gita al lago era senz'altro un'aggiunta non da poco.
L'altro fattore è quello dato dal paradosso di Easterlin: aumentando il benessere economico solo fino ad un certo punto aumenta anche la felicità, poi le due tendenze divergono. Del primo passaggio di questo paradosso s'è già detto: dalla fine della seconda guerra mondiale in poi si poteva essere solamente più ricchi, anche se con poco. Ecco però che se noi confrontiamo la situazione di benessere degli anni '60 con quella dei nostri giorni, possiamo senz'altro ritenerci più benestanti: abbiamo molte più cose che ci soddisfano, più comodità, più possibilità, insomma siamo più ricchi.
Ma siamo più felici?

Ma chissà poi se erano quelli davvero tempi tanto belli
o caroselli che giriamo per l' incertezza che culliamo
in questa giostra di figure e suoni, di luci e schermi da illusioni,
di baracconi in bene o in male, di eterne fughe dal reale
che basta un po' d' oscurità per darci la serenità,
semplicità, sapore, sale e ritornelli.

(Francesco Guccini, "Black-out" da "Metropolis", 1981)

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