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Nella bella Verona,
dove noi collochiam la nostra scena,
due famiglie di pari nobiltà;
ferocemente l’una all’altra oppone
da vecchia ruggine nuova contesa,
onde sangue civile va macchiando
mani civili. Dai fatali lombi
di questi due nemici ha preso vita
una coppia di amanti
da maligna fortuna contrastati
(William Shakespeare, "Romeo and Juliet")
Made in Verona! - Panoramica - Prime assonanze: il contesto - Assonanze nei personaggi - Assonanze di sottile ironia - Il falso balcone di Giulietta - Truthiness - Due canzoni
Made in Verona!
Mi sono entusiasmato e commosso per questo recentissimo film interamente ambientato a Verona:
Love in the Villa - Innamorarsi a Verona.
Ovviamente solo un regista e sceneggiatore statunitense poteva farlo perché, come ironizzava Leo Ortolani in una sua striscia, nei film italiani si parla solo romanesco.
Per dire quanto sia interamente ambientato a Verona, senza far spoiler diciamo che le prime scene che nella finzione cinematografica sono ambientate negli Stati Uniti,
in realtà sono state girate in Valsquaranto, nella scuola media Luigi Simeoni.
Riconoscere nelle varie scene i posti del cuore della nostra bella città è una gioia forse campanilistica, ma molto grande.
La location principale è il cortile della casa di Giulietta, dove si affaccia la "Villa", ovvero l'appartamento che due sconosciuti
hanno per un errore del proprietario prenotato ed affittato in sovrapposizione.
A parte il famoso cortile però si spazia un po' in tutto il centro di Verona arrivando poi fino al Lago di Garda: fantastico!
Panoramica
Premessa: da qua in poi sarà inevitabilmente tutto un cosiddetto "spoiler", però c'è da dire che nel complesso si tratta di una commedia sentimentale,
quindi di una storia d'amore che finisce bene, non è un giallo e non c'è un "twist ending", un rovesciamento, una reinterpretazione dell'intera storia nel finale.
Potrei consigliare di vedere il film prima, ma anche no: cercare di riconoscere gli elementi che descriverò e analizzerò potrebbe essere anche divertente.
Ricapitolo la trama per chi ha visto il film, o la accenno per gli altri.
L'intera storia è ambientata a Verona perché la protagonista è una vera e propria fan di "Romeo and Juliet" e ha organizzato un viaggio che dovrebbe essere il coronamento del suo grande sogno:
visitare i luoghi dove è ambientata la vicenda.
Mollata dal fidanzato un attimo prima della partenza, decide comunque di andare da sola e arrivata a destinazione scopre che,
a causa un errore nelle prenotazioni, dovrà condividere l'appartamento con un perfetto sconosciuto.
Dopo un'iniziale guerra per il territorio i due si innamorano, arrivano i rispettivi (ex?) fidanzati a complicare le cose ma poi tutto si sistema.
Fine del succintissimo riassunto.
Apparentemente non c'è nessun collegamento tra la tragedia di "Giulietta e Romeo" e questa vivace commedia a lieto fine. Apparentemente!
Io ho trovato diverse assonanze, che in quanto tali lo rendono affascinante e non stucchevole.
Una delle tante cose che non sopporto a teatro e al cinema sono le trasposizioni in età contemporanea di classici ambientati nel passato;
la solita tragica scusa è che dovrebbero servire per evidenziare l'universalità del racconto;
la squallida realtà è che abbiamo una pletora di sceneggiatori e registi senza fantasia che pretendono di essere creativi e non lo sono.
Marciano sui titoli per attirare il pubblico e poi fanno i baffi alla Gioconda senza essere Duchamp.
Per fortuna non è questo il caso: lo sceneggiatore e regista
Mark Steven Johnson
ha creato una trama originale e nel contempo
ha saputo citare Shakespeare con una sottile eleganza, e in qualche caso anche con una certa dose di ironia, dote in cui anche il Bardo eccelleva e che sicuramente avrebbe apprezzato.
Prime assonanze: il contesto
Il contesto geografico è quello in entrambi i casi. Verona è Verona!
L'intelligenza di Mark Steven Johnson è stata quella di capire che a parte il fatto di essere la location shakespeariana originale, Verona era vocata perfettamente a fare da sfondo, non serviva andare altrove.
E non si pensi che l'idea sia banale: Zeffirelli il suo "Romeo e Giulietta" l'ha girato praticamente in
tutta Italia e solo
qualche scena a Verona. Ma stiamo parlando di un regista italiano: non vorrei far la vittima, ma per molti versi Verona è obbiettivamente piuttosto bistrattata in patria.
Il contesto di partenza dei due innamorati di Shakespeare (o dovrei dire di
Luigi da Porto?) è quello di appartenere a due famiglie che si odiano e si combattono.
Anche nel nostro caso abbiamo due futuri innamorati che all'inizio si odiano e si combattono a suon di scherzi pesantissimi; e non solo per una banale questione logistica:
se lui viene dall'antica Albione, lei viene dagli Stati Uniti, se lei è molto passionale e votata all'amore eterno, lui è molto freddo e pragmatico (almeno in apparenza).
Sono due caratteri improbabili sotto lo stesso tetto.
Se nella tragedia originale ad un certo punto c'è l'esilio di Romeo a Mantova ("No: più mondo non è, fuor delle mura / Di Verona: ma carcere di pene, / Ma tormento, ma inferno"),
è facile qui riconoscere l'esilio di Charlie Fletcher al Due Torri fatto, seppure per ragioni diverse, con altrettanta morte nel cuore.
Assonanze nei personaggi
Se la protagonista della tragedia si chiama Juliet, la nostra protagonista, interpretata da
Kat Graham si chiama Julie,
ma se aggiungiamo il cognome e pronunciamo stretto l'assonanza è perfetta: Julie-Hutton!
Non è una ragazzina come la Capuleti che nella tragedia apprendiamo avere quasi 14 anni:
"Quattordici, / ci scommetto quattordici miei denti / - anche se, a mio dolore, devo ammettere / che me ne son rimasti solo quattro - / ancora non li compie: il primo agosto".
Però anche se trentenne la nostra "Giuliatton" fa la maestra e lavora con i ragazzini di quell'età, e ama il suo lavoro.
Il personaggio di Charlie, interpretato da
Tom Hopper,
sembra invece aver poca assonanza con lo svagato farfallone di Romeo Montecchi.
Ma se ci pensiamo bene come Romeo è poco partecipe della realtà ostile che lo circonda perché perso nelle sue fantasie romantiche,
così anche il nostro signor Fletcher è perso nel suo mondo di-vino (scusate non sono riuscito a trattenere l'abusato doppio senso)
e non si accorge di quello che gli accade intorno (e dentro di sé).
Poi come non identificare il tassista Uberto (sic), che accompagna i due innamorati come novello Cupido, in Frate Lorenzo? Quello che con le sue macchinazioni
sposa i due innamorati e poi maldestramente, seppur in buona fede, ne causa la morte.
E ancora: Silvio D'Angelo, il padrone di casa, è in fondo come il principe della Scala.
E' il boss della location, è super partes e vorrebbe solo che tutti andassero d'accordo.
E infine c'è Tebaldo, il Capuleti attaccabrighe ("Questa parola 'pace' io la odio / come l’inferno, i tuoi Montecchi e te!"):
come non riconoscerlo in Roberto, il collega di Julie che la istiga a far i dispetti al suo coinquilino?
Assonanze di sottile ironia
La scena più famosa di "Giulietta e Romeo" è quella del balcone e l'esercizio più difficile era proporne una assonante senza che fosse stucchevole.
Da qui il colpo di genio del regista: Charlie è chiuso fuori dall'appartamento, dentro non c'è nessuno e lui deve entrare assolutamente perché stanco morto.
Ecco quindi che decide saltare sul balcone ma maldestramente resta appeso e dopo una soffiata dell'implacabile Julie viene fermato dalla polizia che
lo scambia per un topo d'appartamento.
Considerando che il balcone in questione è letteralmente quello di fronte al balcone di Giulietta il richiamo è chiarissimo.
Questa scena è da manuale: fa il verso alla scena d'amore con più lirismo della storia, è una scena assolutamente comica, o tragicomica se vogliamo,
senza però scadere nel grottesco o nel demenziale poiché il film non lo è.
Arriviamo poi ad una scena da Guinnes dei primati: anche se non posso documentarlo con assoluta certezza, credo che questo sia il primo film in assoluto che porta sullo schermo la
pastissada de caval!
Come si può ben immaginare per una statunitense, e ancor più per un inglese, mangiare cavallo è una forma di cannibalismo,
e da qui in poi si scatena tutto il pesantissimo scherzo che vediamo nel film: lui svela il significato del nome del piatto in italiano solo dopo che lei ha mangiato il primo boccone.
Anche se il richiamo è molto sottile, personalmente qui trovo un'assonanza con la morte che si danno i due celebri amanti col veleno.
E il fatto che in realtà si tratti di una falsa pastissada fatta con i funghi, si associa perfettamente al primo falso veleno che aveva preso Giulietta.
Infine senza tante assonanze, ma con molta ironia mi hanno fatto sorridere e divertito molto:
- Il dolce siciliano per eccellenza, il cannolo, diventato una specialità veneta
- Via Madonna del Terraglio fatta ai novanta all'ora in auto
- Veder parcheggiare in via Cappello davanti alla casa di Giulietta
- I vigili urbani trasformati in polizia di stato (in una parte molto ben recitata)
E mi fermo qua, ma ce ne sarebbero ancora.
Il falso balcone di Giulietta
Ricapitolando.
Questo film è obiettivamente bello, fatto bene in tutti gli aspetti, sceneggiatura, regia, recitazione, riprese, musiche.
Questo film è, con un'opinione forse un po' di parte, assolutamente fantastico perché fa splendere Verona (finalmente!) anche in ambito cinematografico.
Questo film è, perlomeno per me, stimolante perché spinge a cercare le assonanze, i paralleli con l'opera di Shakespeare, come nella rubrica "Chi ci ricorda?" della Settimana Enigmistica.
Già così, come si usa dire nel nostro italiano imbarbarito, è "tanta roba". Eppure manca ancora qualcosa.
Manca un messaggio, un qualcosa che ci consenta di dire che non è solo vuoto intrattenimento.
Ecco, questo punto di salienza del film lo troviamo a mio avviso proprio nel balcone di Giulietta, o meglio nella sua falsità.
Vediamo perché.
Nel 1977 Umberto Eco descriveva nel suo libro "Dalla periferia dell'impero" i musei statunitensi; non tanto quelli, diciamo così "tradizionali", come potrebbe essere il MoMA di New York,
ma tutta una serie di musei sparsi negli USA che sostanzialmente sono raccolte di falsi che vogliono sembrare più veri del vero.
E' bellissima, ad esempio, la descrizione della riproduzione della "Gioconda" di Leonardo, dove non si sono limitati a riprodurre il quadro,
ma hanno riprodotto anche tutto lo studio dell'artista con al centro la statua di cera di Leonardo intento a dipingere il quadro. Più vero del vero!
D'altronde la definizione che ha dato lo stesso Eco della semiotica è "la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire".
Ma le menzogne a volte diventano vere, come nella finzione de "Il pendolo di Foucault" dove la lista della lavandaia diventa realmente "il Piano".
O pensiamo al famoso caso dello
Smemorato di Collegno:
questo signore affetto da amnesia era stato riconosciuto da due donne come proprio marito, rispettivamente come Giulio Canella e come Mario Bruneri;
il caso mediatico che scatenò all'epoca ha degli echi ancora oggi. Alla fine il processo civile lo dichiarò come Mario Bruneri,
ma lui si riconobbe come Giulio Canella, e come tale visse fino alla fine dei suoi giorni.
La domanda che sorge spontanea è: se effettivamente era Mario Bruneri, ma poi per tutto il resto della sua vita ha vissuto come Giulio Canella,
insieme alla moglie Giulia Canella (non è un caso l'omonimia: era la figlia di suo cugino Francesco), dalla quale ebbe poi altri figli,
qual è la verità? O meglio ancora: quid sit veritas? Che cos'è la verità?
Ma mentre la domanda di Pilato era più ad indirizzo ontologico, nel nostro caso diventa più ad indirizzo pratico: cos'è la verità?
Ciò che era in teoria o ciò che si concretizza in pratica?
Se il falso ci guida, ci permette di raggiungere qualcosa di buono non diventa vero?
"L'ordine che la nostra mente immagina è come una rete, o una scala, che si costruisce per raggiungere qualcosa.
Ma dopo si deve gettare la scala, perché si scopre che, se pure serviva, era priva di senso" sentenzia Guglielmo ne "Il nome della Rosa".
Truthiness
Il termine
"Truthiness" nasce dal programma
"The Colbert Report",
quindi da quello che è diventato poi l'erede di David Letterman al "Late Show", ovvero il conduttore giornalista
Stephen Colbert.
Intraducibile con immediatezza in italiano, il termine indica ciò che può essere considerato vero in base a ciò che si desidera che fosse, o comunque si percepisce come vero.
Tornando al nostro film, già dalle scene iniziali possiamo evincere che questa "veritezza" (pessimo, ma non mi viene altra italianizzazione)
è una delle colonne portanti della storia. In una delle prime scene vediamo infatti Julie che elenca al suo fidanzato (ex dopo qualche minuto)
tutto il programma del futuro viaggio da sogno a Verona, e tra i vari punti c'è già la visita alle volontarie che rispondono alle lettere che vengono scritte a Giulietta da tutto il mondo.
Un giorno o l'altro bisogna che veda anche il film ispirato da questa cosa:
"Letters to Juliet".
Ebbene: anche se ci sono buone possibilità che la leggenda che ha ispirato Da Porto e Shakespeare fosse falsa, anche se anagraficamente è evidentemente impossibile che Giulietta sia ancora viva,
ma proprio prendendo la storia come assolutamente vera, Giulietta alla fine della tragedia muore, quindi difficilmente potrebbe lavorare per il comune di Verona rispondendo alle lettere
a lei indirizzate!
Chi le scrive lo sa, come sa che riceverà probabilmente una risposta.
Di più: la finzione diventa più vera del vero, e Julie viene a vedere le volontarie che rispondono.
Siamo nella stessa situazione della gioconda statunitense.
Va da sé che quando a metà film Charlie le dice che anche il balcone è completamente falso lei non si scompone: cosa importa?
Nota storica: la casa di Giulietta
più che ricostruita, è stata letteralmente inventata da Antonio Avena tra il 1937 e il 1940, così come pure la grande assente nel film, cioè la tomba di Giulietta.
Il balcone Wikipedia ce lo dà ispirato da "Il bacio" di Hayez, ma ancora più prosaicamente qualcuno lo ritiene ispirato dal film della Metro-Goldwyn-Mayer
Giulietta e Romeo del 1936
di George Cukor.
I milioni (non esagero) di visitatori che passano ogni anno sotto il balcone di Giulietta lo sanno che è falso?
Forse sì, forse no, ma di sicuro non gliene importa nulla, ed è giusto così.
La tomba di Giulietta è stata visitata ancora nell'ottocento da molti personaggi famosi, e da due famosi rappresentanti del romanticismo in particolare: Madame de Staël e George Byron.
Si sono trovati di fronte ad un anonimo sarcofago indicato dalla tradizione, ovvero da qualche popolano che transitava nei pressi, come tomba di Giulietta Capuleti.
Due persone così colte potevano crederci dal punto di vista storico? Ovviamente no! Ma c'hanno creduto dal punto di vista romantico,
al punto che Lord Byron ha prelevato anche un sassetto da portare a sua figlia.
Qui scusatemi ma apro una parentesi di campanilismo informatico che non c'entra nulla col resto, ma è una cosa poco conosciuta che mi piace sempre evidenziare.
Il primo programmatore della storia non è stato un uomo ma una donna:
Ada Lovelace
unica figlia legittima del poeta Lord Byron. A lei è stato dedicato anche un linguaggio di programmazione, che si chiama
Ada per l'appunto,
che non conosce nessuno ma che usano tutti visto che è quello con cui fanno volare gli aerei.
Chiusa la parentesi.
Due canzoni
E per finire in bellezza due canzoni, che anche se non fanno parte della colonna sonora concludono perfettamente queste cosiderazioni.
La prima è "Verona"
interpretata da Koit Toome e Laura Põldvere e arrivata in finale all'Eurovision Song Contest del 2017;
è un bellissimo omaggio dall'Estonia alla nostra città e infatti è stato ... vergognosamente ignorato qui in Italia.
Lo trovo veramente imbarazzante e triste!
We are lost in Verona
We are lost, lost in the crowd of the street
We are lost like two sailing boats in the sea
We are lost 'cause sometimes we building and burning down love
We are lost our Verona
We lost and we found our Verona
"Ci siamo persi a Verona / Siamo persi, persi nella folla per strada / Siamo persi come due barche a vela nel mare / Siamo persi perché a volte costruiamo e bruciamo amore /
Abbiamo perso la nostra Verona / Abbiamo perso e abbiamo ritrovato la nostra Verona".
E' evidente la bellissima sineddoche che emerge verso la fine della strofa dove la parola "Verona" arriva a sostituire la parola "amore", e infatti l'ultimo verso si potrebbe tranquillamente leggere come:
"Abbiamo perso e abbiamo ritrovato il nostro amore".
La seconda canzone, decisamente più famosa in Italia, è del cantautore fiorentino
Odoardo Spadaro: "Porta un bacione a Firenze".
Il testo è noto: una ragazzina "figlia di migranti", vedendo un italiano tornare in patria gli affida un "bacione" da portare a quella che "che l'è la tua città / ed anche l'è di me".
Pur parlando di una città di secondaria importanza rispetto a Verona, ha una strofa che chiarisce bene il concetto sopra espresso di "Truthiness":
L'è vera questa storia e se la un fosse,
la può passar pe' vera, sol perché
so bene i' lucciconi e quanta tosse
gli ha chi distante dalla Patria gli è.
Bene "Romeo e Giulietta" è una storia vera così come la sua ambientazione a Verona, e se non lo fossero le facciamo passare per vere perché se possono portare l'amore a milioni di persone val la pena di crederci!
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