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I have spent much time thinking about the alleged pseudo-relations that are called coincidences.
What if some of them should not be coincidences?
Ho trascorso molto tempo ragionando sulle presunte pseudo-relazioni chiamate coincidenze.
E se alcune di queste non fossero coincidenze?
(Charles. H.Fort, "Wild talents", cap. 2)
Libri gialli per ragazzi
Nella mia pubertà ho goduto molto la compagnia de "Il giallo dei ragazzi",
la collana Mondadori che pur rientrando nel genere poliziesco era scritta e pensata appunto per ragazzi.
Essendo un accumulatore compulsivo (il livello collezionista è qualche grado più su) li conservo ancora e mi è capitato di rileggerli anche di recente, qualche anno fa.
Le serie di "Nancy Drew" e quella degli
"Hardy Boys" non mi erano piaciute da ragazzo e, pur avendone qualche volume per caso, non li ho
affrontati nuovamente da adulto.
Non erano, e non sono a mio avviso, nè carne nè pesce: troppo infantili per un adulto, ma allo stesso tempo con situazioni e personaggi troppo vecchi perché un ragazzino si immedesimi
(i protagonisti hanno la patente, hanno possibilità di spostamenti e un'autonomia da ventenni).
Viceversa ho riletto con piacere i libri dei "I tre investigatori" e quelli dell'italianissima
"Rossana".
Ho riletto con piacere ma con un occhio ben diverso: se da ragazzino mi piaceva Rossana ma mi entusiasmavano I tre investigatori, adesso succede esattamente il contrario.
Jupiter Jones, Pete Crenshaw e Bob Andrews i personaggi della serie americana targata Alfred Hitchcock (ma scritta da diversi autori, principalmente da
Robert Arthur) erano ragazzini con cui ci si poteva identificare, che si potevano invidiare,
specie Jupiter Jones col suo deposito di rottami da cui traeva preziosi tesori tecnologici.
Se ancora mi fa piacere rileggere questa serie di libri è probabilmente per l'imprinting che mi hanno dato allora, perché per il resto sono il classico prodotto standardizzato americano,
nato per l'intrattenimento e prodotto in modo da non dipendere dal talento di un singolo autore.
Esattamente il contrario vale per Rossana: Enzo Russo è uno scrittore di gialli come specializzazione, ma è anche uno scrittore tout court capace di rendere le atmosfere, caratterizzare
i personaggi, intenerire, emozionare, insomma la sua è una scrittura viva, non un prodotto industriale, e quindi risulta piacevole anche per un adulto.
Comunque in entrambi i casi ho riletto con piacere, anzi con un pizzico di entusiasmo.
Tutta questa tirata, che fa molto Tristam Shandy, serviva solo per dire alla fine due cose:
1) il libro in questione è un giallo per ragazzi
2) mi è piaciuto, è scritto senz'altro bene sotto tutti i punti di vista, ma non mi ha entusiasmato, sicuramente perché non avendolo letto da ragazzo la prima volta mi è
mancato quell'imprinting che invece hanno avuto per me in generale i summenzionati romanzi de "Il giallo dei ragazzi" della Mondadori.
Il libro
"Vermeer e il codice segreto" è un libro dichiaratamente ed entusiasticamente ispirato dalla figura di Charles Hoy Fort.
E' un giallo per ragazzi ed è stato il libro di maggior successo dell'autrice,
Blue Balliett (Elizabeth Balliett), un'insegnante della University of Chicago Laboratory School
(dove è anche ambientato il romanzo).
Stiamo parlando di un best seller tradotto in diverse lingue e che ha vinto numerosi premi, ma per i dettagli rimando alla solita Wikipedia.
Come si diceva poc'anzi si tratta di un giallo per ragazzi, quindi la prosa è semplice, i riferimenti sono spiegati in forma colloquiale dai protagonisti per rendere più agevole la lettura,
e la trama ovviamente è orientata allo spettacolare a scapito della verosimiglianza.
Un libro per ragazzi si fa obbligatoriamente così; la cosa inquietante è quando fanno così anche i romanzi per un target adulto.
Il fatto che la tagline di copertina reciti "Il codice da Vinci per ragazzi. The Times" lo vedo riduttivo per quest'opera: Blue Balliet ha fatto un racconto giusto per il suo target,
è il "Codice da Vinci" ad essere un libro per ragazzi anche se acquistato da adulti.
La trama in breve è questa: due ragazzi, Petra Andalee e Calder Pillay, che frequentano la stessa classe delle medie ("classe sesta" non so a cosa corrisponda in Italia) e abitano nella stessa via,
cominciano ad accrescere la loro amicizia e ad intensificare le loro frequentazioni dopo l'arrivo di una nuova insegnante, Isabel Hussey, che con una didattica che ricorda molto quella del professor
Keating ne "L'attimo fuggente" riesce subito ad appassionare la classe. Da lì in poi una serie di coincidenze significative, quelle che Jung ha battezzato come
sincronicità, li porta dapprima a conoscere la figura di Fort, poi un quadro del Vermeer che verrà rubato
immediatamente dopo, infine sempre queste "coincidenze" permettaranno loro di ritrovare il quadro (e il colpevole).
Il grande merito di quest'opera che ci interessa da vicino, è evidentemente quello di far conoscere la figura e l'opera di Fort.
Ma ci sono anche altri aspetti pregevoli.
Fin dal titolo il libro promette di parlare di Vermeer, questo grande pittore i cui quadri sono diventati dei meme che ritroviamo riprodotti ovunque.
E come lo fa? Spingendo a giudicare con i propri occhi, ignorando i dettami degli esperti spesso obbligati da altre ragioni.
La questione centrale che il ladro scatena con delle lettere indirizzate ai giornali è: quali (e quanti) quadri attribuiti a Vermeer sono veramente suoi?
E quanti e quali quadri attribuiti a lui sono invece di allievi o emuli?
La bagarre che si scatena nel romanzo in seguito alle dichiarazioni del ladro sarebbe auspicabile anche nella realtà: tutti che parlano di Vermeer, tutti che guardano i suoi quadri ai musei, se ne
procurano riproduzioni, ne discutono nei bar, alle fermate ... ah, che sogno!
E invece niente: dobbiamo adeguarci a discussioni sul calcio o sul Grande Fratello.
Non contenta l'autrice ci fa scoprire anche il pentamino (pentomino nel libro).
Questo polimino, che è anche alla base del celeberrimo Tetris, viene usato in modo oracolare dai protagonisti,
essendo che le sue forme ricordano anche delle lettere.
E qui verrebbe da dire che l'autrice ha forse un po' abusato del trucco narrativo: neanche l'I Ching viene usato
così incessantemente da chi lo interroga. Ad un certo punto della narrazione sembra di trovarsi in un gioco di ruolo dove per fare ogni mossa bisogna tirare i dadi.
Insomma questo romanzo è ricco di spunti culturali, con una trama onesta (a parte l'eccesso di cui sopra) e una prosa piacevole: direi che assolutamente da leggere anche se ormai non
si è più dei quatordicenni brufolosi.
Personalmente cercherò di procurarmi anche il seguito, "Il codice Wright", anche se pare abbia avuto meno aprezzamenti da critica e pubblico.
Conclusione
Quando si scrive su Charles Hoy Fort bisogna purtroppo sempre introdurre qualche informazione su chi era e qual è stata la sua opera.
Anche la nostra Balliett è stata costretta a farlo nel corso della narrazione, così come ho fatto io nell'introduzione a questa sezione.
Se si parlasse di Leonardo da Vinci o di Albert Einstein non ci sarebbero problemi, perché la loro fama li precede.
Purtroppo non è così per Fort.
Eppure le sue ironie, i suoi dannati, le sue ipotesi, insomma il suo lavoro, hanno lasciato il segno come possiamo vedere da questo libro, ma non solo.
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