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Potrei diventare la marchesa Bonaccorsi,
lasciare l’arte e le sue vanità e invece rifiuto.
Non mi piacete sufficientemente perchè io sia disposta
a rinunziare per voi alla mia vita di donna abbastanza libera
e d’artista abbastanza intelligente. Capite!
(da Anime allo specchio/Il ramo di lillà)
Sono un gozzaniano convinto, amo molto le rime del poeta torinese, per cui quando mi sono imbattuto in questo libro di Amanda Guglielminetti l'ho comprato senza esitazioni.
Questa scrittrice ha la sfortuna e fortuna di essere ricordata principalmente come amante, amica e corrispondente epistolare di Guido Gozzano.
Sfortuna perché non è ricordata principalmente per le sue opere, quella che ho già avuto occasione di definire la sindrome di Cambronne,
ma allo stesso tempo questa è stata anche la sua fortuna perché, diciamoci la verità, seppur molto brava non è stata esattamente uno dei pilastri della poesia italiana.
Riassumendo molto brevemente la sua biografia (che si trova anche su Wikipedia)
diciamo che ha cominciato a pubblicare con la benedizione di Arturo Graf e ha avuto così occasione di conoscere Guido Gozzano.
Con lui ha intrattenuto una relazione sentimentale, interrotta dopo poco, che è infine sfociata in un'amicizia affettuosa durata fino alla morte di lui.
L'epistolario intercorso tra loro è ancora pubblicato e citatissimo laddove si parla di Gozzano.
Di segno esattamente contrario fu la reazione con Pitigrilli avvenuta in seguito, durata poco di più ma finita malamente in tribunale.
Questa intricata e dibattuta vicenda è intrinsecamente legata alle accuse di Pitrigrilli come delatore dell'OVRA, accuse che hanno poi coinvolto e sconvolto la Guglielminetti molto pesantemente.
Quanto fosse responsabile o vittima delle circostanze il Pitigrilli non sono riuscito a capirlo, di sicuro la povera Amalia ne è stata una vittima innocente.
Per il resto, o perlomeno fino a quegli anni, la vita della scrittrice era stata nel complesso ricca di amicizie e relazioni sentimentali, comunque abbastanza libera e dedicata al suo lavoro di scrittrice.
Il libro in sè
Il volume, che si presenta con una deliziosa immagine liberty in copertina, è senza dubbio una ristampa, accoppia infatti due diverse raccolte di poesie: "Le seduzioni" del 1909 e "Le vergini folli" del 1907.
Il perché l'ordine delle due raccolte sia invertito rispetto alla cronologia delle uscite per me resta un mistero.
Così come è un mistero la data di pubblicazione: l'unico anno presente è quello riportato nell'immagine di copertina, ossia il 1921, quindi ben successivo alle prime edizioni.
Per completare il quadro generale diciamo anche che l'introduzione di Giuseppe Antonio Borgese è abbastanza centrata e condivisibile.
Arrivando alle poesie vere e proprie sono in entrambe le raccolte raggruppate in capitoli che danno un senso logico alla lettura.
Per "Le seduzioni" le singole poesie sono invariabilmente composte da quattro quartine a terzine incatenate, o terzine dantesche che dir si voglia, più un verso di chiosa,
mentre invece per "Le vergini Folli" sono tutti sonetti.
Insomma in entrambi i casi si tratta di strutture classiche e consolidate, le rime sono impeccabili e il tutto risulta di una costanza, di una precisione forse un pò eccessiva.
Ecco: io Arturo Graf me lo immagino un vecchio, austero e molto tradizionalista professore che non poteva quindi non aprezzare simili componimenti, e da qui si spiega il suo supporto entusiasta.
I contenuti
La citazione da "Anime allo specchio" che ho posto sopra e l'accenno biografico della scrittrice servono secondo me a dare la cifra componentistica della Guglielminetti.
Sono sempre il primo a distinguere tra biografia e opere, anche perché come si farebbe poi con gli artisti sconosciuti o che mantengono volutamente l'anonimato?
Però in alcuni casi, senza voler tenere argumentum ad hominem, la biografia può aggiungere qualcosa
senza nulla togliere ai contenuti. E questo è uno di quei casi.
Per capire meglio contestualizziamo prima l'epoca di queste poesie passando da un altro poeta crepuscolare di quegli anni: Marino Moretti.
Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.
Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.
Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,
il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s’ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,
L'incipit, assolutamente folgorante, ci dà quel senso di tristezza infinita poi spiegata nel componimento: la "sorella sposa, / sposa da sei, da sette mesi appena" cercava disperatamente di
convincere sè stessa e gli altri di aver raggiunto la felicità attraverso il matrimonio, mentre dalla sua situazione emerge una sudditanza non solo nei confronti del marito ma dell'intera di lui famiglia.
E da qui si capisce la citazione introduttiva, "Non mi piacete sufficientemente perchè io sia disposta a rinunziare per voi alla mia vita di donna abbastanza libera", che evidentemente non è solo della
protagonista del romanzo ma anche dell'autrice.
Forse in altri tempi Amalia sarebbe stata una donna più libera di scegliere entrambe le cose.
Ad esempio vediamo nel 1983, più di settant'anni dopo, come dipinge Bennato la situazione femminile nella canzone "Una ragazza":
Se una ragazza, vuole di sera
Andare sola per strada
Non lo può fare
Non è corretto
Che non sia accompagnata
[...]
E' un incantesimo strano, che la colpisce da sempre
Mentre il duemila, non è più tanto lontano
Opss ... forse non era l'esempio giusto.
Ma a noi piace pensare che gli artisti, che da sempre sono in avanscoperta, più avanti del resto della società, almeno loro già allora la vedessero diversamente.
E tra questi prendiamo i più visionari: i futuristi, lo dice già il nome!
Filippo Tommaso Marinetti, dal Manifesto del Futurismo del 1909, coevo de "Le Seduzioni":
9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.
[...]
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
Mia cara Amalia, con gli occhi gonfi e il cuore stretto in petto, mi sento vicino a te e alle tue poesie!
Le poesie
Inorridiranno i poeti, ma cercherò, da povero ignorante qual sono, di riportare a volo d'uccello qualcuno dei mirabili versi della prima raccolta in
ordine cronologico, quindi "Le vergini folli" del 1907 (seconda raccolta nel libro), per poi chiudere con due parole su Le seduzioni" del 1909 (raccolta che apre il libro).
I cinque capitoli che compongono "Le vergini folli" sono: "Anime", "Spiragli","Il signore", "Profili" e "Verità",
e questi titoli danno un senso compiuto al discorso complessivo che viene fatto.
"Anime" ci racconta a chi viene dedicato il libro, di chi parla, già dalla prima quartina della prima poesia:
"Sorelle, io errava taciti sentieri, / scuri or nell'ombra e or chiari nel sole, / quando fanciulle in bianche lunghe stole / m'accostarono coi loro passi leggeri" (da "sorelle ...").
In "colei che tace" la poetessa spiega che darà voce a loro: "E' ben che occulta io giaccia: / ma tu, per quel ch'io tacqui e piansi, parla".
Come Dante tra le anime trapassate, l'autrice viene incitata a riportare la loro realtà, come succede per "colei che si dispera": "- anche per me tu parla. Ch'io risenta / arder la voluttà del mio dolore".
Il delizioso contrasto, quasi un ossimoro, tra voluttà e dolore, ci ricorda il puntuale accoppiamento tra Eros e Thanatos.
Ma da dove nasce questo dolore? Amalia sembra chiamarsi fuori dal consolidato gioco in "ignare":
"E poi che venner gaie alla mia volta, / le interrogai: - Perché d'amar chiedete? / Sorriser tutte come ad un sol richiamo, / ed una disse: - Lieta cosa è amare, /
e se una gioia è amor, noi l'invochiamo. / Io insinuai: - Amore mente, affanna ...".
A questo punto punto dovrebbe essere chiaro che non siamo di fronte alle poesie nel cassetto di un pruriginosa adoloscente, ma siamo in presenza di una donna,
in primis, che cinicamente conscia del destino femminile (dell'epoca?) si interroga su cosa sia l'impulso ad andare verso di esso.
Ne "la fedeltà" tutto si fa chiaro: "- La nostra è morte in vita, - allor sommesso / gemette un lagno d'accorata voce.", da cui si capisce che le vergini folli non sono del tutto ignare.
"Venian quelle cui fu tutto promesso, / cui tutto in fior miete la falce atroce". Ma chi sono costoro? "E le vergini vedove, le spose /
senza nozze, le sacre a una memoria / d'amore, le fedeli dolorose". Ecco come si esprime un vero poeta. Gli ossimori, vergini/vedove, spose senza nozze, evocano tutte le condizioni,
richiamano l'universale condizione femminile senza elencare tediosamente.
Il capitolo successivo, "Risvegli", parte da un convento, da un monastero, ovvero la negazione della partecipazione al dolce gioco (tranne che per quella monaca di manzoniana memoria
che "sventurata rispose" al suo richiamo).
Però dal monastero parte e poi ritorna una giovane: "Al suo convento la novella sposa / tornata un'ora, fra le giovinette / compagne d'ieri, garrula sedette, /
franca nel gesto e nel narrar scherzosa". Suscita "meraviglia e timore", ma "E poi ch'ella partì, nel monastero / s'effuse, tra l'usato aulir d'incenso, /
lo stupore confuso d'un mistero.", sembra richiamare quasi il gozzaniano " Donna: mistero senza fine bello!".
Il risveglio con "meraviglia e timore" guida verso l'uomo, non il fratello o lo sposo, ma "Il signore": "Signore, tu venisti con catene / pesanti, come un despota [...]
- Signore, - io allor ti dissi, - un qualche bene / per questa dura servitù mi devi. / E un riso schernitore tu ridevi, / come chi vuol negar ma si trattiene.", ecco
delinearsi quindi l'oggetto del dolore prima accennato.
Dolore che suscita ebrezza: "Soffrir con gioia. Respirar la vita / in sussulti d'angoscia. Lacerare / senza pietà la propria ferita. / E più goder di questo estremo affanno: /
che le tue grida tanto ardenti e amare / a chi ti strazia mai non giungeranno.".
Questo discorso prosegue nel capitolo "Profili", dove troviamo alcuni ritratti di queste donne,
e nel sonetto "virgo fragilis" arriva quindi una spiegazione tra misticismo occidentale e filosofie orientali:
"L'anima tua in fondo a' tuoi sfuggenti / occhi, saprà sorridere soave / sol quando per amare s'annienti.", o come direbbe Battiato "fare come un eremita, / che rinuncia a sé".
Per concludere, con somma incongruenza e impossibilità cronologica, mi piace pensare che "la respinta" sia stata ispirata da Gozzano:
"Fosti respinta. Come una mendica / che insista nel suo chiedere, importuna, / fosti respinta. E tu ben taci: niuna / parola esiste che il tuo male dica".
Da chi ha ricostruito questa impossibile storia d'amore tra Guido e Amalia, pare che fosse lei a insistere perché ci fosse uno sbocco, mentre lui nicchiava.
Per dirla poeticamente, lui aveva l'altra vera amante, l'altra signora che l'aspettava, il mal sottile che si poteva procastinare ma non eludere.
Ovviamente se si sono conosciuti scambiandosi reciprocamente i libri, questa poesia è anteriore, forse profetica, ma non certo ispirata dal vate torinese.
Nella seconda raccolta, ma prima nel volume, il Leitmotiv viene dato dal titolo del primo capitolo: "Quella che va sola".
Se c'era ancora qualche vago dubbio sul disicanto sentimentale e sociale di Amalia Guglielminetti, qui ogni perplessità viene fugata.
"Quella che va sola" è lei, Amalia, "Colei cha ha gli occhi aperti ad ogni luce / e comprende ogni grazia di parola".
E' chiaro quindi che non cerca il principe azzurro, nè una normale vita da moglie e madre, ma non per questo fa voto di castità:
"In succo io ho spremuto ogni buon frutto / ma non mi volli saziare e ancora / nessun mio desiderio andrà distrutto".
Libera quindi, non schiava d'un sogno, forse incubo, ma libera di andare e di scegliere.
Ma qui giunge all'amara verità.
Chi t'ha perduta, o libertà, ti agogna.
Chi ti possiede non t'apprezza più.
D'averti, alata scorta, si rampogna,
e t'adopra a cercar la schiavitù.
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Tipologia: brossura
Dimensioni: 12,7 x 18 cm
Pagine: 270
Luogo di pubblicazione: Torino, Tipografia Vincenzo Bona
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