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Quando un giorno che secondo voi dovrebbe essere mercoledì,
vi sembra fin dall'inizio domenica, potete star certi che qualcosa non va.
(John Wyndham, incipit de "Il giorno dei Trifidi")
Introduzione
Mi ero dato alcune regole per la tenuta di questo "blog", se possiamo chiamarlo così. Tra le altre:
1) Evitare i romanzi tra i libri. Ormai il termine "libro" è diventato sinonimo di "romanzo", e in particolare di "best-seller", qualunque cosa voglia dire questo termine che,
come ci insegna Umberto Eco, non vuol dire niente, è assolutamente indefinibile.
2) Evitare la cronaca. Tutti i siti parlano solo degli avvenimenti del momento, dei libri del momento, delle uscite infelici di personaggi famosi del momento ...
fermiamoci un momento: parliamo d'altro per favore.
3) Evitare libri molto famosi. Ne parlano già altri, e molto meglio di me, vediamo invece di scoprire qualcosa di nuovo.
Ecco: in un colpo solo sto mancando tutti e tre questi buoni propositi.
Il terzo proposito l'ho già mancato con Ginsberg e, forse, anche con Stoppani. Il primo l'ho già mancato con "La nave di Teseo", ma il secondo lo sto infrangendo per la prima volta mi sembra.
Precisiamo una cosa: questi indirizzi me li sono dati non per essere snob, ma per evitare di intasare la rete sempre con le solite cose e per non confrontarmi con altri sicuramente più bravi di me.
Comunque per questa volta mi perdono: talvolta so essere molto comprensivo con me stesso.
Detto questo avventuriamoci pure nel sottogenere letterario che la solita Wikipedia classifica come
Fantascienza apocalittica e post apocalittica.
La fantascienza post apocalittica è invece ambientata in un mondo (o civiltà ) già devastato da una catastrofe. L'ambientazione temporale può essere immediatamente successiva la catastrofe, focalizzandosi sui viaggi o sulla psicologia dei sopravvissuti, o considerevolmente posteriore, comprendendo spesso il tema della perdita della memoria storica, per cui ci si è dimenticati dell'esistenza di una civiltà precatastrofe o la sua storia è divenuta leggenda o mito.
I gesti apotropaici sono consentiti, anzi incoraggiati.
Meglio ancora: diciamo che parlarne esorcizza l'accadimento del disastro.
Non sono superstizioso, ma purtroppo l'argomento sembrerebbe essere attuale a causa dell'Innominato, non quello manzoniano, ma quello che stanno nominando tutti da qualche mese a questa parte e,
dato che sono stufo di sentirlo nominare, ho deciso autonomamente di chiamarlo Innominato per l'appunto.
Ma potremmo anche chiamarlo l'Innominabile come Macchia Nera ne I promessi topi di Bruno Sarda e Franco Valussi.
Affrontiamo subito il più famoso di questi quattro cavalieri dell'Apocalisse: L'ombra dello scorpione. |
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Il giorno dei trifidi per me è il capolavoro tra questi quattro.
L'incipit che ho riportato sopra come citazione iniziale è folgorante. In una frase lascia intendere il resto del romanzo: più brillante di così non saprei immaginarlo. |
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Questo romanzo nasce dall'omonima serie televisiva:
quell'inquietante telefilm (si può dire? o è meglio serie TV?) che angosciava anche solo per le immagini desolate e desolanti. |
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Il meno famoso di questi quattro cavalieri dell'apocalisse è forse anche il meno interessante. Anche se può sembrare banale, la partenza è originale rispetto agli altri: c'è un terremoto globale (o almeno così sembra) che tira giù tutto e naturalmente di notte, quando tutti dormono tranquilli nelle loro casette, e quindi solo chi era fortunosamente a spasso di notte si salva. Ovviamente questa "ruga nella terra" che ha causato il terremoto, per essere così globale e devastante ha avuto anche altri effetti collaterali, come il prosciugamento dei mari, fin dove non si sa. Non mi dilungo molto perché francamente mi sembra che non aggiunga molto alla storia della letteratura. D'altronde la preziosissima collana Urania, che spesso ha ospitato anche perle della letteratura poi riscoperte e ristampate in altri ambiti, è dedicata agli appassionati del genere fantascientifico che traggono piacere dal leggere anche solo (ma non solo) per intrattenimento. Leggere amplia la mente, e la fantascienza forse più di altri ambiti assolve bene a questo scopo. E questo libro non fa eccezione. |
Alcune considerazioni
Le vicende narrate possono anche essere di fantasia, ma innegabilmente un minimo di verosimiglianza e di realismo ce l'hanno.
Quindi proviamo a vedere cos'hanno in comune questri quattro libri, quali considerazioni generali si possono trarre.
1) La fine arriva inaspettata, ma soprattutto all'improvviso: si può pensare che sia per comodità di costruzione della trama che gli autori sintetizzano il processo di transizione dalla normalità al nulla,
in modo cioè da potersi concentrare sul dopo. Però è anche vero che i terremoti funzionano così e un virus che dovesse decimare la popolazione terrestre per forza di cose sarebbe immediato e letale.
2) La percentule di umanità che sopravvive è lo specchio di quella precendente: ovvero non si salvano solo i buoni o solo i cattivi, ma entrambi in egual proporzione.
Quindi le vicende narrate si incentrano molto sul fatto che nonostante ci sia un'emergenza totale da affrontare dettata da un mondo che era organizzato in una maniera molto complessa e che va ripensato partendo da zero,
i protagonisti si trovano anche ad affrontare delinquenti, dementi e idioti vari che non capiscono e remano contro.
3) L'unico modo per sopravvivere è collaborare: è interessante come, pur in diversi ambiti, si arrivi sempre a questa conclusione.
Se dal punto di vista psicologico l'uomo è un animale sociale, se dal punto di vista etico e morale la collaborazione umana è un valore tra i più condivisi,
in questi romanzi emerge anche il fatto innegabile che dal punto di vista pragmatico in una situazione di emergenza l'unica via di uscita è raggrupparsi e lavorare insieme.
4) "Il giorno della fine non ti servirà l'inglese": è un verso di Battiato tratto dalla canzone "Il re del mondo".
Ora considerato che il romanzo di Stephen King è ambientato negli USA, mentre gli altri tre sono ambietati in Inghilterra,
direi che possiamo giungere alla serena conclusione che parlare inglese porta una sfiga pazzesca. Oppure che gli anglossassoni sono paranoici.
5) L'idea di "fine del mondo", anche solo declinata in "fine del mondo come adesso lo conosciamo", è particolarmente angosciante.
Tutti sappiamo di dover morire prima o poi e conviviamo più o meno bene con quest'idea, ma pensare che esista una fine di tutto è un'altra cosa: perché?
Heidegger dice esplicitamente che l'idea della morte fa parte del "si" impersonale, quindi di tutte quelle azioni suggerite dalla cura per la normale esistenza in questo mondo:
si mangia, si beve, si respira, si muore. Pensare alla morte in senso profondo, prenderne coscienza veramente è quello che lui chiama essere-per-la-morte, è svelante e altamente positivo.
Il resto è chiacchiera, si dice, si constata, ma non si comprende appieno. La fine del mondo preannunciata in questi romanzi non rientrando nelle normali chiacchiere riesce a scuoterci un pò.
O forse possiamo estendere quello che diceva il Foscolo ne "I sepolcri", ovvero che l'idea stessa di sopravvivenza della specie lenisce l'angoscia per la morte individuale.
Quattro romanzi come i quattro cavalieri dell'apocalisse: ovviamente ce ne sono molti altri, forse più meritevoli, ma era giusto per dare un'idea.
Nel campo dei film invece ricorderei i vari Mad Max e Waterworld,
il dimenticato The Day After - Il giorno dopo figlio della guerra fredda, ma sopratutto il famosissimo
Ken il guerriero (Hokuto no Ken) articolato su manga, serie animate e lungometraggi.
Ma il grande assente qui è un libro, che per questione di stile non ho inserito (avrebbe stonato con i romanzi), ma che in realtà si sarebbe sposato bene col contesto.
Mi riferisco al famoso "Il medioevo prossimo venturo" di Roberto Vacca, che seppur datato,
è del 1971, è sempre attuale. Questo saggio parte da un presupposto molto banale: e se all'improvviso ci fosse un blocco delle telecomunicazioni?
Ovviamente nel 1971 Vacca immaginava un blocco dei telefoni, ora potremmo declinarlo più in generale come blocco delle comunicazioni telefoniche e Internet, ma la sostanza non cambia.
Cosa succederebbe quindi?
Non potendo contattare le altre persone tutti si metterebbro in auto per raggiungere gli interessati, ma siccome ci sono molte più auto di quante ne possano circolare contemporaneamente,
nelle grandi città si creerebbero degli ingorghi così abnormi da non poter essere risolti in tempi brevi, gli approvvigionamenti alimentari non potrebbero più arrivare e
masse di persone si sposterebbero verso le campagne. Insomma da lì in poi il crollo della civiltà.
Che fantasia eh? E invece no: il libro dell'ingegner Vacca è serissimo ed è stato basato, come ci dice Wikipedia, sul lavoro del
Club di Roma:
Il Club di Roma è una associazione non governativa, non-profit, di scienziati, economisti, uomini d'affari, attivisti dei diritti civili,
alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i continenti.
La sua missione è di agire come catalizzatore dei cambiamenti globali, individuando i principali problemi che l'umanità si troverà ad affrontare,
analizzandoli in un contesto mondiale e ricercando soluzioni alternative nei diversi scenari possibili.
Visitando il sito ufficiale si percepisce come tutta l'attenzione di questi signori sia concentrata in questo momento sul disastro ambientale. Quindi con precedenza a quanto temevano qualche decennio fa col libro di Vacca, il disastro ecologico è più incombente e sicuro di possibili malfunzionamenti tecnologici. Insomma, stando agli esperti la fine più probabile non arriverà all'improvviso, come previsto dai nostri quattro romanzi, ma nel giro di qualche lustro.
– Ma questo non è un romanzo. Stiamo parlando del mondo reale.
Tamaru socchiuse gli occhi e guardò fisso il volto di Aomame.
– Chi può dirlo?
(Haruki Murakami, "1Q84")
Titolo: L'ombra dell scorpione (edizione integrale) |
Titolo: Il giorno dei trifidi |
Titolo: I sopravvissuti |
Titolo: Una ruga sulla terra |
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