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Ultimo aggiornamento: 07 Gennaio 2024 (Nivôse - Pierre à chaux)

Bisogna cambiare
Ci vuole la pace, la pace che trionfi, la pace che trionfi
Trionfi per tutti quanti
Ci vuole la pace in questa società
(Domenico Bini, "Sta andando tutto male")



L'eteroclito vulcano di Trani, il maestro: Domenico Bini

Domenico Bini - Una lucida analisi - L'analisi musicale - La fenomenologia - L'intervista - Una canzone a 58 anni

Domenico Bini

Ho visto il primo video di Domenico Bini Domenico Bini per caso, anche se nulla avviene per caso con gli algoritmi di Youtube, e ha subito solleticato il mio senso, non di ragno ma di giovane salmone (Labranca docet). Poi ne ho guardato un altro, poi un altro ancora, poi ho letto i commenti ... e sono entrato nel vortice.
Dai commenti si evince subito che non è una passione quella che provano i "fans" (con la "S" anche quando declinato al singolare come fa lui), ma è una vera e propria religione. Quindi onde preservare la mia incolumità fisica diciamo subito che A ME PIACCIONO MOLTO I VIDEO DI DOMENICO BINI (non vorrei trovarmi immolato su qualche altare di pietra con un coltello a forma di chitarra che mi trapassa il cuore).
Il passo successivo è stato spontaneo: cercare in Amazon se c'era qualcosa sul merchandising, e ... c'era eccome. Quindi, è da un po' che sono indeciso sulla felpa, ma sul libro ho deciso al volo: comprato, letto ed ora commentato.
Per i parametri di questa sezione "libri strani" questo è normale un libro che parla di un musicista, è però il musicista ad essere speciale, anzi specialissimo, anzi unico.

Una lucida analisi

Il libro è fatto bene. Ed è fatto bene perché è stato fatto da uno che non è un fan sfegatato, però allo stesso tempo ha apprezzato molto e si è chiesto perché un fenomeno così fuori da tutti gli standard possa piacere così tanto. Poi a questa domanda il nostro Stefano Orlando Puracchio, già autore di diversi libri a carattere musicale, si è risposto, e la risposta rappresenta la prima metà del libro, mentre la seconda è un un'intervista al nostro Domenico Bini.
Descrivere Domenico Bini a chi non ha mai visto un suo video è pericoloso perché il ritratto è esattamente all'antitesi degli artisti pop o rock a cui siamo abituati. Mi verrebbe da dire che forse è anche per questo che piace molto: gli stereotipi hanno rotto le balle (opinione mia non riportata nel libro).
Comunque per quanto pericolosa è un'operazione necessaria: Domenico Bini è un signore over 60 che a 58 anni, da più di dieci anni, ha deciso di comporre canzoni, cantarle e postarle su Youtube. In questi video oltre alla canzone non dice nulla, non parla, tranne che per le dediche e le canzoni su richiesta nelle quali il brano viene introdotto dalla richiesta (fenomeno drasticamente calato negli anni in concomitanza all'aumentare esponenziale delle richieste).
Come descrizione del contesto, le sue caratteristiche principali pressoché uniche e stupefacenti sono:
- Il numero elevatissimo dei brani prodotti: il minimo assoluto è rappresentato da due brani al giorno, e sono sempre nuovi, non ci sono mai ripetizioni o cover.
- Come conseguenza di questa mole va da sé che tutti i brani abbiano una cifra stilistica che li fa rassomigliare, il che non vuol dire che sono tutte uguali (succede anche per cantanti strafamosi come ha dimostrato un altro youtuber, Mike The Hammer, con una serie di video "Come fare una canzone di Vasco Rossi/Luciano Ligabue/ecc. senza alcuna talento") - La stanza è sempre quella, tranne rarissime eccezioni in cui canta in salotto
- L'inquadratura è sempre quella, dal basso verso l'alto
- Non c'è nessun montaggio: si vede perfettamente quando fa partire la registrazione e quando la ferma, e questa potrebbe anche essere una logica conseguenza dell'altissima mole di brani prodotti: se dovesse anche montare non farebbe altro tutto il giorno
- L'espressione è sempre seria, compunta, e l'abbigliamento è sempre assolutamente sobrio, anonimo, tranne talvolta qualche concessione ad un cappello da cowboy o al berretto da Babbo Natale (ovviamente nel periodo giusto con canzoni a tema)
- I numeri sono impressionanti: 150.000 iscritti su Youtube (il libro è del 2021: adesso sono 161.000) e, per alcuni brani che anch'io personalmente definirei i migliori le visualizzazioni superano il milione: molti artisti ben più famosi di lui queste vette se le sognano.
Parte integrante del video possono essere considerati i commenti: è sempre divertente leggerli perché anche i suoi "fans" che lo amano alla follia talvolta fanno dell'amichevole ironia.

L'analisi musicale

Questa secondo me è uno degli aspetti più interessanti del libro, perché consiste in un'analisi molto tecnica che l'autore ha richiesto a sua volta a dei musicisti esperti. Quello che ne emerge è qualcosa che i detrattori, gli insultatori, "i soliti idioti" non potranno mai capire.
Apro una parentesi per definire "i soliti idioti": su moltissimi video musicali, specie quelli di musica leggera d'annata, si trovano commenti tipo "questa sì che era musica, non la merda che fanno adesso" o anche insulti diretti ad una specifica canzone ma comunque sempre associabili a figure retoriche fecali. Chi fa questi commenti quasi sicuramente associa il termine "musica" con "musica leggera, pop, in forma canzone", ignorando o fingendo di ignorare che la parola "musica" contiene al suo interno non un mondo ma un'intera galassia. Inoltre difficilmente si troverà un appassionato di jazz che discrimina il jazz in base alle decadi: "il jazz degli anni '60 era musica, adesso fanno solo merda". Ecco quindi che questi tarati dall'imprinting musicale adolescenziale non riescono ad ascoltare né il prima né il dopo né quello che c'è attorno alla classifica pop trasmessa dai media. Ma questo vale anche per molti che ascoltano un solo genere musicale e ... "tutto il resto è noia" come cantava Califano (che era una persona raffinata e non usava le parolacce).
Viceversa i musicisti che, pur avendo le proprie inclinazioni e preferenze musicali per definizione sanno cos'è la musica, hanno passato in rassegna i brani senza scandalizzarsi né stupirsi: se funziona e bene ci sarà un perché. Nella fattispecie in base agli strumenti suonati dal maestro sono stati interpellati un chitarrista, un bassista e un tastierista. I risultati sono stati per me sorprendenti: come bassista il maestro non eccelle (ma di video in cui si cimenta col basso non ne ho visto neanche uno, devono essere proprio pochi), come chitarrista ci sta, non è Jimmy Hendrix ma comunque è bravo, ma soprattutto il risultato migliore è quello di Domenico Bini tastierista. Curioso, e pensare che lui si considera principalmente un chitarrista.
Per i dettagli tecnici musicali rimando al libro: è un libriccino non costa molto.
Per quanto riguarda la voce poi la via scelta è quella di cantare di testa, scelta che così a memoria non ricordo usata da altri. Alle orecchie non abituate senz'altro suona strano, eppure non è che esista un modo solo di cantare. Pensiamo ad esempio alla fine degli anni '70 quando si era diffusa la moda di cantare in falsetto: adesso se qualcuno lo facesse gli riderebbero dietro. E' solo questione di abitudine, la stessa canzone si può fare in modi diversi ma resta sempre lei.
Altra nota per i "brani in lingue" come li definisce il maestro. Molti saccenti detrattori hanno commentato ironizzando su un inglese che non si capisce. L'autore del libro invece giustamente lo classifica come scat, solo che invece di essere a sillabe come si usa nel jazz, è a parole intere, alcune reali ma perlopiù inventate. Però si può considerare anche come grammelot ("strumento recitativo che assembla suoni, onomatopee, parole e foni privi di significato in un discorso") che Dario Fo aveva fatto riscoprire già negli anni '70, anche se quest'ultimo è rivolto alla sfera recitativa del teatro.

La fenomenologia

Senza averlo visto e ascoltato mettiamo insieme quanto detto finora e mescoliamo il tutto: ancora non si capisce il perché piaccia così tanto. Aggiungiamo a questo il fatto che è una persona schiva, modesta e non solo non si è montato la testa, ma ha rifiutato di crescere commercialmente, fare comparsate televisive, dischi, insomma continua a rifiutare una carriera da musicista mainstream. Allo stesso tempo non se la tira: in questo libro c'è una sua intervista, ci sono diversi video in cui appassionati lo intervistano anche a casa sua, e c'è anche un video dove si confronta con Elio, il quale con la sua solita signorilità e apertura verso tutti i colleghi musicisti, di fronte al maestro si inchina e gli cede il podio.
Stefano Orlando Puracchio nel suo libro ci viene incontro e ci fornisce alcune chiavi di lettura, forse non esaustive ma quasi.
Innanzi tutto c'è quello che chiama il "Root Beer Effect": la birra fatta con le radici al primo boccale è sgradevole, ma bevendone ancora, più si beve e più piace al punto in cui poi si diventa quasi dipendenti. Così la grande quantità di brani unita alle costanti che li legano (la stanza, l'inquadratura, lo stile, ecc,) crea un effetto tranquillizzante nei fruitori. L'angoscia delle notizie ricevute dai media, gli agonismi e gli antagonismi imposti dalla società, insomma tutte le cose negative vengono esorcizzate nelle sempre nuove, puntuali canzoni del maestro. Quando poi i testi parlano di argomenti di attualità, e succede molto spesso, è fatta.
E arriviamo così ai commenti che secondo Puracchio si possono suddividere in quattro macro categorie

Gli insulti. Concordo con l'autore che non vale la pena di parlarne perché da un lato non ci dicono nulla su Domenico Bini, ma dall'altro ci dicono molto su chi li scrive. Posso aggiungere solo che non è ho mai visti e quindi speriamo che siano abbastanza rari.

I commenti tipo "adesso anche [musicista top] è sistemato". Sono i miei commenti preferiti, sono spiritosi e di classe. Ovviamente come accennavo sopra fanno parte dell'ironia bonaria, amichevole e senz'altro partigiana di chi è comunque consapevole che forse paragonare Domenico Bini a, per esempio, John Coltrane è forse un po' esagerato. Però suggeriscono allo stesso tempo che non esiste il musicista "assoluto". A questi aggiungerei quelli che non includono un musicista ma altro, ad esempio: "E con questa anche il COVID è sistemato".

I commenti un po' più seri che comparano il maestro ad un grande della musica. Perché no?

I commenti sotto i brani "in lingue". Ad esempio: "Il maestro parla la lingua degli dei e se non lo capiamo è perché non siamo degni". Spassosissimi anche questi.

Gli Effetti Taumaturgici. "Da quando ascolto Domenico Bini sono una persona migliore". Direi che sono un buon incentivo al maestro per continuare la propria opera.

A queste categorie aggiungerei anche quella dei "diversamente estimatori" ovvero, ad esempio, quelli che con una sorta di compassione postano un "poverino smettetela di prenderlo in giro" a cui segue puntuale un "non sto prendendo in giro nessuno: a me piace veramente!". A questi suggerirei caldamente la lettura del libro in questione. Oppure quelli che un po' più pacatamente, senza insultare dicono che non è 'sto granché: a questi suggerirei di provare il "Root Beer Effect" di cui sopra.

La brillante e inaspettata catalogazione a cui arriva Puracchio è che Domenico Bini è un punk. Lui che "è studiato" parte dalla definizione di punk del dizionario della Oxford University, io che sono povero cialtrone prendo da Wikipedia

I brani composti dai gruppi punk possedevano ritmiche veloci, sonorità dure, generalmente tracce di breve durata, strumentazioni essenziali e testi dai contenuti provocatori e violenti, anche con una forte connotazione politica. La cultura punk abbracciò poi l'etica del Do it Yourself, creando un circuito di registrazioni autoprodotte e di distribuzione alternativa a quella mainstream.

Direi che è lui: se togliamo la parla "violenti" e sostituiamo "Do it Yourself" con "Do it Youtube" tutto il resto quadra. Se ci fossero dei dubbi sui testi provocatori, basta vedere i testi più trendy specie della trap per rendersi conto che i testi del maestro sono completamente controcorrente.

L'intervista

Questa è la parte, come dire ... meno innovativa del libro. Senza nulla togliere al piacere di leggere un'intervista fatta bene e centrata sul personaggio, cosa non scontata, bisogna dire che di interviste al maestro se ne trovano su Youtube. Lui è una persona schiva e modesta, non va cercando notorietà, ma allo stesso tempo non manda quel paese qualche appassionato che arde dalla voglia di intervistarlo.
Quello che emerge dall'intervista è che il maestro fa musica senza secondi fini, fa musica per il piacere di far musica, e lo strepitoso successo è stato inaspettato anche per lui. E' una persona semplice, qualcuno direbbe un po' naif: ci può stare se lo pensiamo come nell'ambito delle arti figurative. Il doganiere e Ligabue, ovviamente Antonio sono presenti nei musei, non nei mercatini.

Una canzone a 58 anni

Su Domenico Bini, Stefano Orlando Puracchio ha scritto un libro. Io molto più modestamente ho scritto questa paginina web sul libro, e di conseguenza anche sul maestro. Ma se si vuole capire in modo molto più sintetico ed efficace il fenomeno, bisogna andare alla fonte, a questa sua canzone ("Una canzone a 58 anni):

A differenza di come diceva Ciro
ho scritto una canzone a 58 anni
per divertirmi un po'
senza pretese
Non voglio lasciare un segno
non voglio avere onori
né glorie
ho scritto una canzone a 58 anni
quando Ciro diceva che non era stato possibile
di fare una cosa del genere
no

E a sua differenza
a differenza di ciò che diceva lui
ho scritto questa canzone perché possa ricordarmi
della delusione
che ho avuto
quando lui proferiva queste parole
no, no, no,
non voglio
essere ricordato come
come un eroe
magari un eroe sbagliato
oh-oh-oh no
no, no
io voglio essere ricordato
come
dove
come
un semplice uomo
che ha vissuto
che ha vissuto
che ha sofferto come tanti ...

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Autori: Stefano Orlando Puracchio
Titolo: Il vulcano, Schana Wana e altri mondi musicali - Domenico Bini
Tipologia: Brossura
Dimensioni: 17 X 12 cm
Pagine: 88
Editore: Demian Edizioni
Anno di pubblicazione: 20 aprile 2021
ISBN: 978-8899813307
Prezzo: Euro 10

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