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Va benissimo, adoro i giornalisti muti!
(Federico Fellini)
Ultimo aggiornamento: 21 Maggio 2022 (Prairial - Hémérocalle)
Le interviste
Sembra facile fare un'intervista.
Wikipedia ci dice che servono tre cose: l'interesse per l'intervistato,
le tecniche giornalistiche e la volontà di pubblicare il risultato.
Già secondo questo schema possiamo constatare che purtroppo le prime due vengono talvolta disattese.
Personalmente però credo che i criteri dovrebbero essere ancora più restrittivi: interesse e conoscenza del lavoro, del pensiero e dell'opera dell'intervistato, domande estremamente sintetiche
e strettamente centrate e infine, naturalmente, la volontà di pubblicazione del risultato, altrimenti cosa si sta a fare?
L'aneddottica può essere divertente, può essere anche un simpatico contorno, ma o è funzionale ai contenuti o è chiacchiera inutile.
Naturalmente in mancanza di contenuti questa chiacchiera può diventare contenuto essa stessa, ma in tal caso è evidente che il personaggio che si sta intervistando è poca cosa.
Potrebbe essere il caso ad esempio di un'intervista a un
"Famous for being famous",
"Famoso per essere famoso", ovvero come dice Wikipedia
"si fa riferimento a qualcuno che ha raggiunto la celebrità senza un motivo particolare, o che l'abbia conseguita attraverso l'associazione con un personaggio famoso".
E cosa gli chiedi a questi?
Qualche questione ontologica? L'influenza della musica dodecafonica nel jazz? Si rischia di arrivare al famoso scambio di battute di
"Ecce bombo" di Nanni Moretti:
Michele: Senti, che lavoro, me n'ero dimenticato, che lavoro fai?
Cristina: Be', mi interesso di molte cose: cinema, teatro, fotografia, musica, leggo...
Michele: Ehm, concretamente.
Cristina: Non so cosa vuoi dire...
Michele: Come non sai? Cioè, che lavoro fai?
Cristina: Nulla di preciso.
Michele: Be', come campi?
Cristina: Mah, te l'ho detto: giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose.
"Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose" sembra il ritratto di una buona parte dell'umanità,
e purtroppo sembra anche il ritratto di certi intervistatori.
Però ci sono anche dei casi eclatanti di intervistatori che a loro volta sono personaggi eccellenti, ma che non rispettando le regole di cui sopra sprecano magari un'occasione importante.
Un esempio su tutti: l'intervista di
Pier Paolo Pasolini a
Ezra Pound, dove il primo chiede insistentemente al secondo cosa pensa
della cultura, dell'arte moderna, e l'altro che gli risponde che non sa, si è sempre interessato del '400 italiano.
L'insistenza di Pasolini risulta fastidiosa, ma soprattutto, inutile.
E stiamo parlando di un artista, un'intellettuale, come Pasolini che ha lasciato il segno nell'arte e nella cultura.
Ma per fortuna non faceva l'intervistatore di professione.
Un perfetto incastro
In questo libro per fortuna ci troviamo sicuramente ad un altro livello.
L'intervistatrice è Toni Maraini,
e su di lei mi soffermo un attimo per fare ammenda della mia ignoranza, poiché non la conoscevo prima di scoprire questo libro.
Il cognome piuttosto famoso non è un caso, e la descrizione della famiglia Maraini su Wikipedia è tutto un link: il padre è
Fosco (antropologo, alpinista,orientalista, ecc.), la madre è
Topazia Alliata (pittrice, scrittrice e gallerista), le sorelle sono
Dacia (scrittrice, poetessa e saggista) e
Yuki (musicista, cantante e compositrice).
Al contrario dei "Famous for being famous", qua sono tutti famosi per qualcosa, anche se forse sono Fosco e Dacia i nomi più conosciuti (almeno per me che sono di un'ignoranza enciclopedica).
L'introduzione di cui sopra sulle interviste oltre che essere dovuta alla mia incapacità di essere conciso, era funzionale a segnalare che le domande da parte dell'intervistatrice sono fatte bene:
sono concise e servono solo a dare lo spunto a Fellini per parlare, non di sè, ma della propria arte e della sua visione della realtà.
Ora, dando per scontato che tutti conoscano Federico Fellini,
e che tutti abbiano visto almeno un suo film, parliamo direttamente del libro senza altri preamboli.
Due macroargomenti
Dal libro emergono due Fellini come per lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde: da un lato il regista e dall'altro il sognatore.
Non l'uomo, ma proprio il sognatore, perché Federico Fellini era onirico e il secondo autoritratto che emerge non è quello prettamente umano, quello che mangia, beve, dorme, respira, ma quello che sogna,
e di tutto questo ne troviamo chiaramente traccia anche nella sua opera.
Il Fellini regista è essenzialmente pratico, è un professionista, si decrive come estraneato dalla realtà, completamente assorto nel suo lavoro.
Per lui è un momento di rilassamento sotto un certo punto di vista, perché non pensa ad altro,
e questo nonostante si tratti di un lavoro di grande responsabilità: deve dirigere il lavoro di un notevole gruppo di persone,
deve controllare che ogni cosa sia fatta alla perfezione per evitare di ripetere la scena.
Eppure questo assorbimento totale si percepisce dalle sue parole che non lo sente come un peso.
Nelle filosofie orientali questo concetto emerge spesso: l'azione fatta con distacco, senza coinvolgimento, per quanto intensa non è pesante.
E questo succede quando c'è l'equilibrio dei tre guna:
Così, gli individui tamasici (il pigro e l'inerte) esitano ad essere attivi, temendo di stancarsi o di fallire; gli individui rajasici (emotivi e passionali) si tuffano a capofitto nell'azione cercando risultati immediati, e rimangono delusi quando questi non ottengono ciò che si aspettavano; mentre gli individui sattvici (le persone dotate di equilibrio mentale) sono attivi, considerando l'azione il loro dovere; il successo e il fallimento non disturbano la loro equanimità.
L'unico coinvolgimento emotivo nel nostro regista lo troviamo quando parla della situazione in cui versava il cinema negli anni '90.
Si legge una profonda amarezza nelle parole con cui descrive il catastrofico calo della produzione, l'estinzione delle sale cinematografiche e la pubblicità che interrompeva i film alla televisione,
e proprio in quest'ultima individua il male supremo che afflige la settima arte.
Chissà cosa direbbe ai giorni nostri.
Poi c'è il sognatore. Come accade per tutti Fellini sognava dormendo, e se al risveglio ricordava ancora il sogno lo annotava diligentemente:
tutte queste annotazioni, testo e disegni, sono state pubblicate in un libro ("Il libro dei sogni", Mondadori Electa).
Ma gli capitava anche di sognare, se così si può dire, anche di giorno: per alcuni attimi si estraneava, non era più lui (una definizione praticamente junghiana),
e si sentiva, ad esempio, un pioppo.
Citando proprio quest'esempio spiega anche che lo aveva inserito nel suo ultimo film, "La voce della luna", facendo raccontare questa esperienza a Benigni.
Infine sempre nel Fellini, chiamiamolo così, "sognatore", c'è anche il "mago", da qui il gioco di parole del tiolo, tra immaginazione e magia: "Imago".
Ecco allora che emerge il Fellini amico di Gustavo Rol,
il Fellini che ha incontrato Carlos Castaneda
e che era andato fino in Messico per reincontrarlo, ma questi non si era fatto vedere.
Su questo mancato incontro, come è ben noto agli appassionati di fumetti, Fellini aveva fatto una sceneggiatura per un film che poi non ha mai fatto,
ma che ha visto la luce come "letteratura disegnata" per mano dello strepitoso
Milo Manara.
Sto parlando di Viaggio a Tulum, dove il protagonista ha inevitabilmente le fattezze di
Marcello Mastroianni,
e dove l'aspetto onirico si respira in ogni pagina.
E per concludere
Per concludere ci sono anche alcune foto, l'inevitabile filmografia e l'introduzione, ma ovviamente il succo del libro è l'intervista in sè. E' un agile libretto, si legge tutto d'un fiato e può servire senz'altro come introduzione per capire l'opera di questo magico regista.
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Autore: Federico Fellini - Toni Maraini
Titolo: Imago
Tipologia: brossura
Dimensioni: cm 16,4 x 12
Pagine: 62
Editore: Semar
Anno di pubblicazione: 1994
Prezzo: 15 € (corretto a matita 20 €, mannaggia!)
ISBN: 88-7778-022-3
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