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Ma cosa può importare ad un occidentale moderno che, per esempio,
ci sia una «porta dei Cieli» in un certo luogo,
od una «bocca degli Inferi» in un certo altro,
dal momento che lo «spessore» della sua costituzione «psicofisiologica» è tale
che assolutamente in nessuno dei due egli può provare qualcosa di speciale?
Queste cose sono dunque letteralmente inesistenti per lui, il che, è sottinteso,
non vuole affatto dire che esse abbiano cessato di esistere
(René Guénon, "Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi")
Ultimo aggiornamento: 24 Luglio 2022 (Thermidor - Prêle)
Introduzione (una lunga e noiosa, ma necessaria, tirata)
C'è uno Zeitgeist, un pensiero dominante, che governa incontrastato tutte le branche del sapere.
Questo pensiero è figlio di due genitori: da una parte la scienza, quella che da Heidegger in poi viene chiamata "tecnica" da molti filosofi,
e dall'altra il pensiero liberale che genera di fatto capitalismo e consumismo.
Questo pensiero dominante è di fatto materialistico e agnostico perché deve soddisfare il consumismo.
Quindi se da una parte le religioni quando propongono un non attaccamento ai beni materiali sono da accantonare e deridere,
dall'altra quando offrono grandi occasioni di consumo per la celebrazione dei riti sono apprezzabili.
Nel complesso però valgono le affermazioni tranchant di Margherita Hack, tipo "Credere a Dio è come credere a Babbo Natale", o
"l'idea di un Dio impersonale sarà più accettabile per la ragione, ma è pur sempre una scappatoia per spiegare quello che la scienza non sa ancora spiegare".
Ovviamente non tutti gli scienziati sono atei, però il confine indiscutibile ufficialmente tracciato è tra i fatti scientifici,
ovvero quelli che soddisfano i criteri dell'epistemologia partita da Karl Popper e poi evoluta in seguito,
e tutto il resto, quindi fatti e teorie che non rientrano nella prima casistica.
Questo confine, come dicevo all'inizio, si è imposto in tutte le branche del sapere: quindi anche in storia e archeologia.
Faccio un esempio pratico: sono stato ad un incontro dove un archeoastronomo spiegava l'orientamento di un monumento.
La prima cosa che ha fatto è stata spiegare cos'era, e cosa non era,
l'archeoastronomia.
La crasi parla da sè, ma vediamo Wikipedia: "è una combinazione di studi astronomici e archeologici;
rappresenta la conoscenza e comprensione che gli antichi abitanti della terra avevano dei fenomeni celesti,
di come li hanno utilizzati ed interpretati e quale ruolo la 'realtà' dei movimenti della volta celeste ha svolto all'interno delle loro culture".
Wikipedia è ancora più generosa di quel che aveva specificato quell'archeoastronomo che aveva omesso di includere l'ultima frase:
in pratica, a suo avviso, lo studioso doveva come astronomo limitarsi a rilevare l'orientamento secondo i fenomeni celesti dei monumenti, delle costruzioni, delle rovine,
contestualizzandole come archeologo col periodo storico e calcolando infine statisticamente quanto poteva essere fortuito questo orientamento.
Ho avuto la netta sensazione che la paura di essere bollato come "antiscientifico" fosse forte in questo studioso.
Immagino che fosse così la paura di molti preti nel medioevo di dire eresie durante le prediche per poi finire tra le grinfie dell'inquisizione;
e anche se attualmente il rischio è decisamente meno cruento, il concetto è quello.
In conclusione nel caso dell'archeoastronomia il risultato sarà anche tutto scientifico ma, a mio avviso, inutile se resta non interpretato fino in fondo.
Ma anche facendo un passo oltre, come sentenzia Wikipedia, si rischia di fare un passo falso.
Ovvero cercare "quale ruolo la 'realtà' dei movimenti della volta celeste ha svolto all'interno delle loro culture" è pregiudiziale, e quindi improprio.
E qui ci avviciniamo al nocciolo del libro.
Se trattiamo i nostri antenati come scimmie appena scese dall'albero che avevano a malapena imparato a fondere i metalli,
allora è lecito pensare che il pensiero profondo sia stato "giralo in una maniera o giralo nell'altra tanto vale orientarlo sul solstizio che fa spettacolo".
I criteri pratici c'erano già all'epoca di Vitruvio, ma valevano per le abitazioni: se si costruisce a nord, in posti freddi, la facciata deve essere orientata a sud,
mentre a nord deve esserci una parete senza aperture per meglio proteggere dal freddo, e viceversa.
Se però riusciamo ad accettare che alla base delle loro azioni ci fosse una religiosità, una mistica, un sentirsi parte del tutto, quindi non solo della parte sensibile,
ecco che "ciò che è in basso è come ciò che è in alto"
cercavano nelle stelle la stessa armonia che trovavano in se' stessi.
Tutta questa tirata l'ho messa per far capire un concetto importante: quest'intero libro più tutto il lavoro di Umberto Grancelli che sta alla sua base è considerato una clamorosa
cialtronata dalla sovrintendenza (di cui pure Grancelli aveva fatto parte a suo tempo).
Per fortuna i tempi di Bonifacio VIII sono passati e nessuno viene messo sul rogo fisicamente (metaforicamente sì quando possibile),
però ufficialmente, quindi secondo il pensiero scientifico dominante, quest'opera rappresenta più o meno uno spreco di carta senza alcun valore.
Tutte le definizioni del fenomeno religioso date fino ad oggi hanno un tratto comune: ciascuna contrappone, a suo modo,
il sacro e la vita religiosa al profano e alla vita secolare.
Le difficoltà cominciano quando si vuol delimitare la sfera della nozione di «sacro».
Difficoltà di carattere teorico, ma anche pratiche, perché prima di tentare una definizione del fenomeno religioso,
occorre sapere da che parte bisogna ricercare i fatti religiosi, e, soprattutto, quali sono, fra questi fatti, quelli che si lasciano osservare «allo stato puro»,
cioè che sono «semplici» e il più possibile vicini alla loro origine. Simili fatti, purtroppo, non sono in alcun luogo a nostra disposizione:
né nelle società di cui possiamo seguire la storia, né fra i «primitivi», i meno civilizzati.
Quasi dappertutto, ci troviamo di fronte a fenomeni religiosi complessi, che presuppongono una lunga evoluzione storica.
(Mircea Eliade. incipit del "Trattato di storia delle religioni")
Umberto Grancelli
Umberto Grancelli (4 Marzo 1907 - 1 Marzo 1970) è stato uno studioso veronese, insegnante di storia al liceo classico Maffei di Verona.
Il suo lascito più importante sono due libri, su cui potrei anche ritornare in futuro.
Il primo è un libriccino firmato Rethicus, "I misteri di Verona romana", piccolo ma intenso, uscito nel 1946.
Il secondo uscito nel 1964 a suo nome riprende ed amplia le tesi del primo e si chiama "Il piano di fondazione di Verona".
(Considerazione personale di uno che ama le coincidenze: gli anni di nascita e morte, '07-'70, così come pure quelli di pubblicazione dei due libri, '46-'64, sono speculari).
Come si diceva queste sono le basi da cui parte il libro di Pellini e Polinari di cui stiamo parlando, e una parte del libro è dedicata specificatamente a riassumerle,
e contemporaneamente a contestualizzarle con le scoperte archeologiche successive.
Il quadro che emerge è che qualche volta Grancelli aveva visto giusto, qualche volta no, ma nel complesso l'interpretazione che ha dato ne esce comunque vincente,
ovviamente per chi ha una mente aperta (non mi ripeterò più sulla questione di cui sopra!).
Ma quali sono queste ipotesi? Quali pazzesche teorie ha proposto questo studioso?
Cercherò di fare il riassunto del riassunto e so già che ne uscirà qualcosa di estremamente lacunoso, ma spero che serva a dare un'idea.
Grancelli parte da due documenti che sebbene non siano assolutamente originali sono comunque accettati da tutti gli storici.
Il primo è l'Iconografia Rateriana,
che in realtà è una copia fatta da Scipione Maffei di un codice medievale che si trovava nell'Abbazia di Lobbes, portato là dallo stesso vescovo Raterio,
ma che oggi possiamo considerare perduto.
Si tratta della più antica immagine di Verona (X secolo circa, prima del grande terremoto del 1117) ed è associata al secondo documento che è il
Ritmo Pipiniano,
poemetto che descrive le bellezze di Verona (VIII secolo circa).
Entrambi i documenti concordano nel descrivere un grande labirinto posto nel colle sovrastante Verona, dove oggi c'è l'edificio comunemente chiamato Castel San Pietro
(in realtà un edificio asburgico che ha ereditato il toponimo da un precedente chiesa ora scomparsa).
Come rilevato dagli autori non si sono mai fatti scavi seri sul colle, per cui non sappiamo per certo se questo labirinto, questo dedalo di passaggi ci sia oppure no.
Il Grancelli non solo dà per scontato che ci sia, ma avanza l'ipotesi che fosse un percorso di iniziazione a dei culti misterici.
Percorso che poi proseguiva per sette templi disposti secondo uno specifico allineamento nella sottostante città.
Habet altum laberintum magnum per circuitum,
in quo nescius ingressus non valet egredere,
nisi igne cum lucerne, vel a filo glomere.
[...]
Fana et tempIa constructa ad deorum nomina,
Lunis, Martis et Minervis, Iovis atque Veneris,
et Saturni sive Solis, qui prefulget omnibus.
Ha un alto labirinto, che forma un grande anello
chi vi entra senza conoscerlo, non può uscirne,
se non a lume di candela o con il filo di un gomitolo
[...]
Vi sono templi in stile antico dedicati agli dèi
Luna, Marte e Minerva, Giove e Venere,
e Saturno, e il Sole che splende su tutto.
(da il Ritmo Pipiniano)
Per farla molto breve, sempre al solo scopo di rendere l'idea, partendo da complicati calcoli sulla curiosa cisterna presente dietro l'edificio asburgico sul colle di San Pietro,
Grancelli ricostruisce un macro e un micro allineamento capanniforme sul quale erano disposti i templi, ormai da secoli perduti.
I templi del Sole e di Saturno erano sovrapposti e coincidenti nel colle,
il tempio della luna lui lo identifica con l'Orfanum segnato nell'Iconografia Rateriana e più meno dislocato nell'attuale San Giovanni in Valle,
il tempio di Marte con l'Organum dislocato presso l'attuale Santa Maria in Organo, il tempio di Mercurio, l'Horreum, dislocato nei pressi di Via Stella,
il tempio di Giove nei pressi del Duomo (via Sole sarebbe il toponimo che deriva dal Solarium) e il tempio di Venere nei pressi di Santo Stefano.
Simmetricamente disposti rispetto al punto di partenza e arrivo di questo percorso (diciamo Castel San Pietro per comodità) ci sono i due punti solstiziali:
La chiesa di Santo Stefano (26 Dicembre, solstizio d'inverno) e San Giovanni In Valle (24 Giugno, solstizio d'estate).
Quindi questo percorso iniziatico, del sole-eroe per usare le parole di Grancelli, si snodava nello spazio come abbiamo visto e nel tempo dato che a ciascuna
delle divinità corrisponde un giorno della settimana: Sole-Domenica (Sunday in inglese e Sonntag in tedesco forse rendono meglio l'idea),
Luna-Lunedì, Marte-Martedì, Mercurio-Mercoledì, Giove-giovedì, Venere-Venerdì e Saturno-Sabato.
E naturalmente, oltre che spaziale e temporale, il percorso essendo iniziatico è anche interiore.
Senza dilungarmi ulteriormente l'ultimo allineamento, quello forse più interessante per questo sito, che vorrei riportare brevemente è quello che coinvolge uno degli assi dell'impianto romano
(una rappresentante della sovrintendenza che avevo sentito in un incontro sosteneva che Grancelli avesse invertito Cardo e Decumano,
ma leggendo bene i libri mi sembra anche che l'autore li dia una volta in una maniera e una volta in un'altra).
Sto parlando dell'allineamento che partendo dal foro romano (l'attuale Piazza Erbe) passa da Castel San Pietro e prosegue fino al Piloton, e da qui, il giorno del solstizio d'estate,
al punto in cui sorge il sole dal monte di fronte, più o meno all'altezza di Pian di Castagnè.
Mi domando solo se ci sia qualcuno nel corposo gruppo di persone che si trova puntualmente al solstizio d'estate al Piloton che ha letto qualcuno di questi libri
e ha capito il senso ultimo dell'interpretazione. Speriamo tutti perché l'ora di questo appuntamento annuale è veramente spietata.
Integrazioni: l'asino
Grancelli non ha scritto una semplice ricostruzione archeologica, o archeoastronomica: nel descrivere il percorso iniziatico di cui sopra,
ma anche tutto l'impianto della città e dei dintorni, si addentra molto nel misticismo, in un'analisi sacra che non coinvolge solo il paganesimo occidentale,
non solo romano quindi, ma tira in causa anche molto dalla religiosità orientale.
Se quest'ultima parte è forse un po' trascurata da Pellini e Polinari, in compenso viene ampliata parecchio la parte relativa al culto asinino.
L'asino era la calvalcatura di Bacco così come di Gesù nell'ingresso a Gerusalemme la Domenica delle Palme (ma presente anche nella natività e nella fuga in Egitto).
La sua sacralità emerge anche da quel racconto iniziatico
L'asino d'oro di Apuleio,
e trova riscontro nella medievale Festa dell'asino o Festa dei folli
ereditata poi in tempi recenti a Verona nel carnevale veronese, ovvero il
Bacanàl del Gnoco, nel quale
Papà del Gnoco cavalca per l'appunto un asino.
Ma quel che interessa di più nel contesto è un oggetto ben specifico: la Muletta di
Santa Maria in Organo.
La statua dell'asino (su cui è stata posta successivamente una statua del Cristo) presente in questa chiesa è stata miracolosamente ritrovata sulle rive dell'Adige,
ed era portata in processione tutti gli anni per le vie della città fino a che ai vertici ecclesiali non è apparso chiaro che essere portata in processione
non era la figura del Cristo, ma proprio la statua dell'asino.
Da allora la Muletta è rimasta buona buona in chiesa, dove ancora adesso possiamo vederla.
Infine
Mi fermo qui: volevo solo dare un'idea della complessità del libro, ma soprattutto della complessità degli argomenti trattati.
Complessità che viene liquidata con una certa semplicità dall'archeologia ufficiale, nonché dalla storia ufficiale.
Ultimo esempio per rendere l'idea: l'edificio riportato sull'Iconografia Rateriana con la dicitura "Orfanum" viene ben distinto dal Grancelli rispetto all'Organum (toponimo della chiesa di Santa Maria in Organo).
Per le guide veronesi, per la sovrintendenza, per l'ufficialità insomma, si tratta di un semplice errore di trascrizione per il quale la "g" è diventata una "f",
quindi Orfanum e Organum sono in realtà un unico edificio.
Per questi signori sembra quasi che il sacro fosse solo un aspetto, e probabilmente il meno importante, nella vita dei nostri progenitori.
Esagero? Per avere un riscontro basta seguire una visita guidata e vedere quante parole vengono spese per aspetti materiali, aneddottici, pratici, tecnici,
e quanto invece si approfondisce l'aspetto sacro, ma soprattutto mistico.
Ma come ha ampiamente dimostrato Eliade nell'antichità esisteva il sacro ovvero il tempio, e il profano, ovvero il pro-fanum, il "davanti al tempio".
E se indipendentemente dalle nostre idee vogliamo capire la nostra storia, il nostro retaggio, dobbiamo partire da questo punto di vista.
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Autori: Luigi Pellini, Davide Polinari
Titolo: Nascita di una città tra architettura, mistica e metafisica
Tipologia: brossura
Dimensioni: 24 x 16 cm
Editore: Edizioni della VITA NOVA di Giovanni Perez
Anno di pubblicazione: Gennaio 2012
Prezzo: 20 €
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