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Ultimo aggiornamento: 04 Ottobre 2022 (Vendémiaire - Citrouille)
Un'introduzione molto personale - L'autore - Il libro - Conclusione pseudoculturale - Scheda - Immagini
Un'introduzione molto personale
Da quando ho memoria nella mia vita c'è sempre stato il mondo disney soprattutto per quello che riguarda i fumetti, del quale ho già un po' parlato in
questa pagina.
Tra i vari personaggi di questo universo ambientato nel Calisota, ci sono i tre nipotini di Paperino,
Qui, Quo e Qua
(Huey, Dewey e Louie in lingua originale), storicamente appartenenti alle "Giovani Marmotte", una sorta di gruppo scout di fantasia i cui membri sono efficientissimi
grazie al libro ufficiale dell'associazione, il famoso
Manuale delle Giovani Marmotte.
Questo pseudolibro, come il famoso Necronomicon di Lovercraft, è stato fatto esistere (si fa per dire) nella realtà per ovvi motivi commerciali,
e da bimbo mi ricordo che lo chiesi in regalo (il Manuale delle Giovani Marmotte, non il Necronomicon!) ma quando mi arrivò rimasi pesantemente deluso: era un puttanata per bambini,
e anche se rientravo nella categoria lo trovai assolutamente stupido e inutile.
Qualche anno più tardi mi arrivò in regalo questo "Manuale del trapper" e l'effetto fu diametralmente opposto!
Anche se ero troppo piccolo per mettere in pratica quello che insegnava l'autore, lo lessi e lo rilessi sognando su quelle pagine incantate,
e come è successo per altri libri anche questo lasciò un segno nella mia vita.
All'epoca non sarei stato in grado di fare, chiamiamolo così, campeggio libero ed escursioni di un certo livello;
e comunque credo che in Italia, e più in generale in Europa, la legislazione non consenta di andare per boschi a tagliare alberi per costruire capanne e a fare fuochi liberi.
Ovviamente tutto si può fare basta non farsi beccare, ma concretamente il contesto del libro sembra più nordamericano (come il titolo lascia intendere).
Però il segno l'aveva lasciato e a parte un paio di campeggi nei boschi della Valsquaranto da ragazzino, poi ci sono sempre state vacanze in campeggio (inteso come struttura ricettiva) scrupolosamente in tenda,
e mai in albergo se mi è stato possibile evitarlo.
Insomma l'imprinting c'è stato, e anche se è stato poi edulcorato per motivi caratteriali e legali, il sogno in sottofondo è rimasto.
Quando poi di recente ho scoperto dei video su Youtube di persone che si filmano fin che fabbricano spartane ma accoglienti capanne nei boschi,
con pochi mezzi e con la scena madre finale della cena al fuoco della capanna, ecco che il manuale del trapper, un po' obliato nel tempo,
è riapparso nella mia mente in tutto il suo fascino.
L'autore
Non so chi sia Andrea Mercanti e non sono riuscito a trovarne delle tracce in rete, e forse è questo che me lo rende simpatico.
Il poter fantasticare su quest'autore misterioso mi ha portato a tre ipotesi di massima su chi possa essere.
1) Un (ex?) boy-scout, come minimo argentino.
Sempre in preda ai miei sogni di campeggio libero, di esperienze in mezzo alla natura,
mi ero fatto raccontare da un compagno di scuola che era boy scout all'epoca la sua esperienza per capire cosa facevano e ne rimasi molto deluso:
l'attività all'aria aperta era poca e i campi in particolare erano pochissimi, e da come me li descriveva probabilmente noiosi.
Molti anni dopo ho avuto occasione invece di parlare con un ragazzo argentino, ex scout, e quello che mi ha raccontato era diametralmente opposto alla pratica montoriese,
assomigliava molto al mio manuale del trapper, insomma era proprio quello che avrei voluto io da giovane.
2) Un ex militare dei reparti speciali o magari un ex legionario.
In realtà da come è impostato si capisce che il libro è molto orientato verso gli adolescenti,
e un ex militare che scrive in modo così edulcorato fatico ad immaginarlo.
Però è falso anche lo stereotipo dell'ex carcerato, cresciuto in un ambiente imbruttito, che cerca di rifarsi la vita nella
Légion étrangère:
anzi ormai se si vuole essere sicuri di entrare è meglio avere un titolo di studio.
3) Un Salgari dei manuali.
Il celebre scrittore veronese produsse una notevole mole di romanzi e racconti esotici, che hanno affascinato tutte le generazioni e
che sono state anche oggetto di trasposizioni cinematografiche. Però lui, per dirla con
Wikipedia
"fu un 'viaggiatore virtuale': il creatore della Tigre di Mompracem viaggiò pochissimo".
Ma questo toglie forse qualcosa al fascino della sua opera? Direi proprio di no!
Il libro
Ovviamente diviso in capitoli, il libro analizza bene tutti i vari aspetti di quello che ormai l'anglofilia dominante pretende che si chiami "outdoor".
Ogni capitolo è composto per metà da un testo e per metà da disegni esplicativi dell'autore, e devo dire che questi sono senz'altro il punto forte del libro.
Ci fossero state delle fotografie, oltre a rendere il libro più costoso sarebbero state meno chiare; i disegni invece nella loro essenzialità sono anche troppo chiari.
Troppo nel senso che a vederli sembra tutto semplice, poi nella realizzazione ci si scontra con la dura realtà!
In generale è un libro sempre attuale, per chi fosse interessato, ma i giovani (fuori, dentro chissà!) hanno ormai altri interessi e infatti mi sembra che non ci siano ristampe recenti.
Dico "in generale" perché in realtà proprio il primo capitolo è decisamente obsoleto, una simpatica documentazione di com'era l'abbigliamento negli anni '70 dello scorso secolo
ma che non trova ragionevole riscontro pratico nei materiali, ma anche nello stile, dell'abbigliamento escursionistico moderno.
Il punto più affascinante del libro è, a mio avviso, quello che si occupa della costruzione di rifugi, di piccole capanne,
fatte perlopiù con materiali naturali trovati sul posto, in parte interrate, con giusto l'ausilio di un po' di spago per tenere insieme la struttura.
Eccitante fin dal titolo il capitolo "Può succedere di accamparsi nella neve e può essere molto divertente" dove i rifugi sono fatti anche con la neve,
elemento sempre più raro a quote e latitudini normali.
Mi sono spesso chiesto cosa ci trovo io di così affascinante in queste situazioni, e sono giunto alla serena conclusione che è il contrasto:
il trovarsi al calduccio dove qualche decina di centimetri più in là c'è il freddo o la pioggia,
probabilmente la stessa sensazione che proveranno quelli che hanno una stufa in quest'inverno senza metano che sta arrivando.
Si può riassumere tutto in una parola presente nella lingua inglese, ma assente nella nostra: "home", quindi non la casa ("house") ma il focolare domestico,
quei pochi metri quadri in cui rifugiarsi momentaneamente dalla durezza del mondo.
Ma non troviamo solo le capanne, il libro è abbastanza completo, e una casa non è fatta solo dalla camera da letto e dal salotto;
ecco quindi che troviamo anche la cucina: come fare un fuoco da campo per cucinare, o addirittura un piccolo focolare funzionale.
Nonché ovviamente come e con cosa si può far partire il fuoco, ad esempio come tenere sempre asciutti i fiammiferi (spoiler: ricoprendoli completamente con lo smalto da unghie),
cosa usare per far partire il fuoco con le pietre focaie, e così via.
Sistemata la cucina si presenta il problema del bagno: e sì, la poesia è bella, ma poi bisogna restare con i piedi per terra e
magari in una posizione comoda per espletare le giornaliere funzioni fisiologiche: quindi fatta la buca bisogna fare anche il sedile, ovviamente sempre di rami opportunamente assemblati all'uopo.
Ancora più essenziali sono poi gli elementi di primo soccorso: come trasportare un ferito o come fasciare una ferita.
E a questo proposito c'è un'interessante descrizione sul fazzoletto,
l'ampio fazzoletto che vediamo al collo dei boy scout, ma anche dei militari quando sono in tuta da combattimento.
Questo semplice pezzo di stoffa può svolgere diverse funzioni:
come benda, come copricapo, come fune d'emergenza compatibilmente con la sua lunghezza, e tutto questo a chi ha letto il libro cult
Guida galattica per gli autostoppisti
dovrebbe suggerire qualcosa:
La Guida Galattica per gli Autostoppisti dice alcune cose sull'argomento asciugamano. L'asciugamano, dice, è forse l'oggetto più utile che un autostoppista galattico possa avere. In parte perché è una cosa pratica: ve lo potete avvolgere intorno perché vi tenga caldo quando vi apprestate ad attraversare i freddi satelliti di Jaglan Beta; potete sdraiarvici sopra quando vi trovate sulle spiagge dalla brillante sabbia di marmo di Santraginus V a inalare gli inebrianti vapori del suo mare; ci potete dormire sotto sul mondo deserto di Kakrafoon, con le sue stelle che splendono rossastre; potete usarlo come vela di una mini–zattera allorché vi accingete a seguire il lento corso del pigro fiume Falena; potete bagnarlo per usarlo in un combattimento corpo a corpo; potete avvolgervelo intorno alla testa per allontanare vapori nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal (un animale abominevolmente stupido, che pensa che se voi non lo vedete nemmeno lui possa vedere voi: è matto da legare, ma molto, molto vorace); infine potete usare il vostro asciugamano per fare segnalazioni in caso di emergenza e, se è ancora abbastanza pulito, per asciugarvi, naturalmente.
Conclusione pseudoculturale
Se "Lavorare stanca" come titolava Pavese, approfondire stanca ancora di più per cui ci troviamo proiettati in un'epoca dove trionfano massimalismi e stereotipi.
Perfino il grande Giorgio Gaber con la sua stupenda "Quelli che ..." c'è cascato dentro in pieno:
"Quelli che vorrebbero arruolarsi nelle SS / Ma non c'hanno il fisico, e non possono darci la divisa / E allora fanno le scuole di sopravvivenza / E muoiono tutti / Purtroppo quasi tutti".
Insomma secondo il pensiero becero medio se fai una scuola di sopravvivenza sei come minimo un esaltato dai film di Rambo se non addirittura un aspirante mercenario.
Ecco, io invece la vedo diversamente, e invece di pensare a John Rambo penso a
"Walden ovvero Vita nei boschi" il libro di Henry David Thoreau
reso ancor più celebre dal professor John Keating (Robin Williams) ne "L'attimo fuggente".
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici».
Seppure in quanto manuale questo libro di Andrea Mercanti proponga consigli e istruzioni pratiche per affrontare la natura con essenzialità,
nei suoi disegni vediamo anche quella vita "ridotta ai suoi termini più semplici" descritta da Thoreau.
Eliminare le sovrastrutture porta a trovarsi faccia a faccia con sé stessi, a capire la propria transitorietà, a cercare quel "midollo della vita"
spesso frainteso come occasione di divertimento grossolano.
Il concetto invece è perfettamente espresso in Giappone dal concetto estetico del
Wabi-sabi:
"Wabi si riferiva originariamente alla solitudine della vita nella natura, lontana dalla società; sabi significava 'freddo', 'povero' o 'appassito'".
E il Wabi-sabi rimanda direttamente all'Anitya,
l'impermanenza: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto.
Ma immergersi nella natura per capirlo non significa necessariamente vivere da eremiti tutta la vita:
alla fine del libro Thoreau torna tra gli uomini, torna nella società, così come pure lo Zarathustra di Nietzsche:
Giunto a trent'anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago del suo paese, e andò sui monti.
Qui godette del suo spirito e della sua solitudine, né per dieci anni se ne stancò.
Alla fine si trasformò il suo cuore, – e un mattino egli si alzò insieme all'aurora, si fece al cospetto del sole e così gli parlò:
"Astro possente! Che sarebbe la tua felicità, se non avessi coloro ai quali risplendi! Per dieci anni sei venuto quassù, alla mia caverna;
sazio della tua luce e di questo cammino saresti divenuto, senza di me, la mia aquila, il mio serpente.
Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato del tuo superfluo, di ciò ti abbiamo benedetto.
Evidentemente dopo 10 anni passati in solitudine in una grotta cominci a parlare anche col sole e, quello che è più grave, magari comincia anche a risponderti.
Però senza arrivare agli eccessi niciani (o nietzschiani?) se questa benedetta
scimmia nuda
che è l'uomo oltre a ballare, come cantava Gabbani, decidesse ogni tanto di tornare per un po' alle origini, scoprirebbe che senza tante sovrastrutture anch'egli è parte della natura,
scoprirebbe che la vita è poca cosa, è precaria, ma allo stesso tempo è grandiosa.
Autori: Andrea Mercanti
Titolo: Il manuale del trapper
Tipologia: cartonato
Dimensioni: 25 x 17 cm
Pagine: 396 (824 illustrazioni)
Editore: Longanesi
Anno di pubblicazione: 1977
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