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"You say the ring is dangerous, far more dangerous than I guess. In what way?"
"In many ways" answered the wizard. "It is far more powerful than I ever dared to think at first,
so powerful that in the end it would utterly overcome anyone of mortal race who possessed it.
It would possess him.'
"Dici che l'anello è pericoloso, molto più pericoloso di quanto immagino. In che modo?"
"In molti modi" rispose il mago. "È molto più potente di quanto abbia mai osato pensare all'inizio,
così potente che alla fine supererebbe completamente chiunque di razza mortale lo possedesse.
Lo possederebbe".
(J. R. R. Tolkien. "La compagnia dell'Anello" da "Il signore degli Anelli")
Inquadriamo il film - Le inquadrature - Le ambientazioni - Un Ulisse giapponese - I trenini - La macchina fotografica
Inquadriamo il film
Un film allucinante, eppure non è un film psichedelico. Una storia di shopping adolescenziale, eppure è una storia profonda, che fa riflettere.
Un fil rouge basato sull'erotismo, eppure non ci sono immagini esplicitamente erotiche.
E' veramente difficile inquadrare
"Love & Pop",
questo film giapponese del 1998 frutto del genio indiscusso di
Hideaki Anno
papà anche del ben più famoso
Neon Genesis Evangelion.
E' un film pazzesco, offre veramente molti spunti di riflessione, ma la trama è per un verso molto semplice e lineare:
ci racconta l'intera giornata di una ragazza sedicenne di Tokyo.
Hiromi Yoshii, la protagonista, si trova con le amiche per fare shopping e tutte insieme per sovvenzionarsi nei loro capricci usano la pratica
dell'Enjo kosai,
ovvero appuntamenti dove giovani ragazze (talvolta anche ragazzi) si fanno pagare per pranzare, cenare o andare al karaoke con uomini adulti.
Normalmente l'appuntamento si limita a quello, ma talvolta si arriva anche al rapporto sessuale.
La storia si incentra un po' su quello: Hiromi si innamora di un anello parecchio costoso, e nonostante con le sue amiche riesca a guadagnare la cifra sufficiente,
non se la sente di approfittare della loro gentilezza nel contribuire anche con la loro parte di compenso all'acquisto,
e decide così di provare alcuni appuntamenti da sola, andando sempre più verso la prostituzione vera e propria.
Si fermerà prima, per caso, e quando tornerà a casa la sera si sentirà forse un po' più confusa, forse un po' più saggia.
Come diceva Gollum, qualsiasi cosa per l'Anello: "'We promises, yes I promise!' said Gollum. 'I will serve the master of the Precious. Good master, good Sméagol, gollum, gollum!'"
("'Noi promettiamo, sì lo prometto!' disse Gollum. 'Servirò il padrone del Tesoro. Buon maestro, buon Sméagol, gollum, gollum!'").
Le inquadrature
La prima cosa che colpisce pesantemente nel film sono senz'altro le inquadrature: Hideaki Anno ha messo dentro il film tutti i tipi di inquadratura che si potevano mettere,
c'è perfino qualche inquadratura "normale" ogni tanto.
Ci sono riprese da sopra, da sotto, in movimento dietro, con e attorno al soggetto, in movimento da un trenino in corsa, da sotto dal telaio della bicicletta, da dietro un forno a microonde,
dal fondo di una tazza dove viene versata la zuppa, da dietro il topazio di un anello, insomma ovunque si potessero mettere cineprese e microcamere sono state messe.
Wikipedia ci dice che "Love & Pop fu concepito come un esperimento tecnico", il che sarà anche vero, ma è tremendamente riduttivo.
Ci sono due effetti potenti che emergono da questo "esperimento tecnico".
Il primo lo potremmo definire estetico.
Se qualcosa di particolare, di ricercato, di anomalo, lo inserisci in un'opera, potrà dare quel tocco in più che valorizza.
Ma se esageri, come diceva Umberto Eco a proposito degli stereotipi in Casablanca di Curtiz, o ottieni una grande porcata oppure un gran capolavoro.
Nel nostro caso rientriamo a mio avviso nella seconda possibilità.
Per portare un esempio architettonico ci possiamo riferire ad esempio al
Vittoriale degli Italiani,
il buen retiro di D'Annunzio.
La villa e il parco circostante, meta di migliaia di turisti ogni anno, sono stati riempiti di soluzioni estetiche e simboliche che vanno dal kitsch alla cafonata bella e buona.
E il risultato finale è così potente, così affascinante, che molte persone che non hanno mai letto un suo libro conoscono a menadito la sua casa.
Il secondo effetto lo definirei più filosofico.
Prendiamo una delle più celebri scene del cinema, quella de "L'attimo fuggente" quando il professor Keating sale sulla cattedra e spiega:
"Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse e il mondo appare diverso da quassù.
Non vi ho convinto? Venite a vedere voi stessi".
Può sembrare una banalità un po' poetica è un po' ruffiana, di filosofia spicciola, in realtà rientra nel concetto dei
qualia che sono
"nella filosofia della mente, gli aspetti qualitativi delle esperienze coscienti". Nell'articolo
"Che cosa si prova ad essere un pipistrello?"
Thomas Nagel ci dimostra come possiamo capire come avvenga una differente percezione della realtà, ma non possiamo capire cosa si prova.
Ecco che in questo film possiamo costantemente capire cosa si prova, perlomeno a livello visivo.
Le ambientazioni
Tutto il film è ambientato nel quartiere di
Shibuya,
forse il più famoso della capitale.
Purtroppo non sono mai stato in Giappone, avevo già il biglietto aereo in mano ma poi è arrivato il Covid 19 e la quarantena,
e quindi basandomi su quel che dice Wikipedia mi sembra di poter dire che dev'essere uno dei luoghi più caratteristici, e quindi turistici, della capitale,
qui ci sono ad esempio il parco
Yoyogi-koen e il famosissimo
incrocio di Shibuya
praticamente un simbolo di Tokyo.
Ma le ambientazioni in esterni di "Love & Pop" sono così anonime che potrebbero essere quelle di una qualsiasi città, anzi periferia del mondo:
anonimi scalini di calcestruzzo, un parcheggio con distributori automatici, un piccolo parco giochi dove la protagonista medita e riceve messaggi sul cellulare seduta su un'altalena,
la banchina di un porto, un canale vuoto.
A mio avviso siamo all'antitesi de
La grande bellezza,
dove Jeff Gambaretta si aggira per i luoghi più belli e caratteristici della capitale, nel pieno della bellezza,
ma allo stesso tempo nel vuoto dei rapporti sociali.
Hiromi Yoshii invece si aggira nel vuoto della grande città, ma nella pienezza del rapporto con le sue amiche scoprendo nel contempo altri rapporti sociali,
in apparenza squallidi ma che si riveleranno poi di una certa profondità.
Un Ulisse giapponese
E' secondo me inevitabile fare un rapporto con l'Ulisse di Joyce. In entrambe le storie c'è una giornata ben precisa del protagonista:
il 16 giugno 1904 per Lepold Bloom, il 19 Luglio 1997 per Hiromi Yoshii.
In entrambi c'è uno stridente rapporto col cibo: nel capitolo 8, "I lestrigoni", Bloom resta disgustato nel vedere gli uomini mangiare come animali all'Hotel Burton.
Così anche Hiromi in un appuntamento a pagamento per mangiare resta disgustata dal cibo, e si sforza di mangiare con marcata malagrazia solo per accontentare l'ospite.
Secondo alcune letture di questo film che ho trovato in rete il cibo e il sesso sono i veri protagonisti in quanto bisogni primari.
Sono parzialmente d'accordo, in effetti questi sono due elementi importanti e ricorrenti, e questo ci porta ad un'altra clamorosa analogia tra le due storie:
le mutandine femminili.
Nell'Ulisse c'è il capitolo 13, "Nausicaa", che è clamorosamente erotico: in questa scena ambientata in spiaggia Bloom cerca di spiare le mutandine di una ragazza,
Gerty MacDowell, in un crescendo di visibilità delle stesse che culmina con il climax dei fuochi d'artificio.
Il flusso di coscienza attraverso cui il lettore segue la scena si sdoppia passando da uno all'altro dei due personaggi.
Se il punto di vista maschile è di assoluta eccitazione, quello femminile è in parte di maliziosa consapevolezza dello spettacolo che sta offrendo,
ma la mente vaga a dove erano state acquistate le mutandine e quanto le aveva pagate.
Per la maggior parte delle sequenze dal basso di Love & Pop invece le mutandine femminili sono le protagoniste non visibili,
le "Godot" del film che sistematicamente Hideaki Anno non ci fa vedere.
Tutti gli angoli di ripresa sono stati studiati con un scrupolo scientifico in modo da farle risaltare per la loro assenza.
L'unica scena in cui si vedono è quando Hiromi si spoglia in bagno e si sfila le mutandine da sotto la gonna: in quel momento le vediamo cadere a terra.
L'erotismo giapponese in generale è esattamente il contrario del porno: vuole arrivare gradatamente al punto, non mostrare sfacciatamente tagliando brutalmente i preliminari.
Anzi i preliminari sono l'erotismo, il resto è poco interessante.
Questa sottigliezza accomuna le due storie, che trovano un punto in comunque anche nell'esplicitazione dell'altro punto di vista, quello femminile.
Hiromi ci spiega in un flusso di coscienza che il sesso anche per lei esiste, si sveglia la mattina un po' bagnata nelle parti intime e si tocca, certo.
Ma il vero sesso per lei il 19 Luglio 1997 è rappresentato da un anello con topazio: attorno questo oggetto ruota la trama,
per vedere questo anello sulle sue mani, che continua a guardarsi, accetterà gli appuntamenti a chiaro scopo sessuale,
quindi non più semplici karaoke o pranzi.
I trenini
La giornata di Hiromi comincia a casa e si conclude a casa: la rassicurante e serena vita familiare entra in contrasto con la peccaminosa, e a tratti rischiosa,
giornata di appuntamenti Enjo kosai.
Ma il contrasto non è solo negativo e ci sono due trenini simbolo che sottolineano questo contrasto, nel bene e nel male.
Il primo è quello che il padre, supportato anche dalla madre, fa correre per tutto l'appartamento, in quei metri quadri che a Tokyo sono particolarmente preziosi.
E' un trenino molto bello e fantasioso che si snoda sotto i mobili, che sfrutta al massimo lo spazio, ma che non esce:
le esperienze dei genitori sembrano iniziare e concludersi nell'appartamento, li troviamo lì la mattina e li troviamo sempre lì alla sera,
quando Hiromi torna a casa ed esausta va a letto.
Poi c'è un altro trenino, onirico, simbolico, che gira in uno spazio ben più ampio, che sembrerebbe essere un capannone.
Passa sotto le gambe delle ragazze (sempre con estrema attenzione all'angolo-mutanda), accompagna delle considerazioni e
sottolinea una distanza generazionale e fisica allo stesso tempo: rappresenta l'adolescenza e l'esterno, il mondo che la sedicenne Hiromi esplora
mettendo forse a rischio la propria incolumità, la propria purezza, ma nel contempo scoprendo una realtà altra,
non quella delle amiche che per quanto più ampia è una relatà consolidata, ma quella dei "clienti Enjo kosai".
E' troppo semplicistico e ingiusto definire pervertiti questi uomini soli, a volte violenti, a volte aggressivi, ma sempre sofferenti.
Nel monologo finale lo scrittore che fa da mentore saggio ad una perplessa Hiromi che cerca di tirare le fila della sua giornata,
capisce al volo la vera essenza delle frasi dette concitatamente in un momento che sembra preludere ad un atto di violenza sessuale,
ma che in realtà era un atto d'amore:
- Questo è qualcosa che ho sentito: "Sei qui, nuda, e stai uccidendo qualcuno mezzo morto dal dolore per questo." Cosa significa?
- Significa una persona gentile, chiunque l'abbia detto. È un modo per dire: "Hai valore. Non devi degradarti".
La tua nudità... la tua stessa esistenza, ha un grande valore, per qualcuno.
Questo solo gli spezza il cuore.
Il ragazzo che si firma "Love & Pop" e prima ancora il ragazzo del noleggio di videocassette non sono mostri, sono esseri umani sofferenti. L'isolamento, la timidezza, la malattia (sindrome di Tourette?) si mischiano al desiderio sessuale ma non sfociano in violenza e l'empatia che dimostra di avere Hiromi sembra lenire il loro dolore. Se il treno e i suoi binari vengono assunti come metafora della vita, e mi sembra questo il caso, allora il trenino che allarga il suo giro e attraversa altre persone (nelle immagini passa sotto le gambe delle altre ragazze) ha forse un percorso più rischioso di quello casalingo, ma è più importante, rappresenta una vita più vissuta, meno chiusa in sé stessa.
La macchina fotografica
Per sottolineare la metafora di cui sopra, c'è anche una delle prime scene che ci mostra Hiromi che cammina ta due binari del treno, accompagnata dalla stupenda musica delle Gymnopédies di Satie. E qui, alla fine di un intenso monologo interiore sul Panta rei, ci spiega perché porta sempre con sé una macchina fotografica:
Tutto nel mondo ha tempo per cambiare.
Uomini e donne adulti e bambini.
Alcuni hanno avuto diversi papà.
Un giorno sei vivo, poi solo una tomba o una foto accanto.
Le cose cambiano e scompaiono davanti ai tuoi occhi.
Anche le cose nei vostri cuori.
Diventa tutto sfocato e poi non ci sono più.
Anche le cose che pensi non cambieranno... potrebbero essere appena finite prima di cambiare, lo sai.
Cambierò? Sarò in grado di farlo?
Tutto quello che so è che non so niente.
Le cose del mondo finiscono sempre. Anche i sentimenti.
Gli amici delle medie, li perdi.
Poi di nuovo, un nuovo ambiente significa nuovi amici.
forse il mondo è sempre la stessa cosa, ancora e ancora.
Ma questo non significa che non posso provare a prenderlo prima che se ne vada.
Questo è ciò che mi ha fatto prendere in mano la macchina fotografica.
La sequenza di traduzioni dal giapponese all'inglese e da questo all'italiano spero non mi abbia fatto travisare il senso del discorso.
Sembrerebbe però una corretta onestà intellettuale quella che le fa usare l'espressione "posso provare a prenderlo",
e in effetti vediamo al termine del film che il tentativo fallisce:
il ragazzo che si firma "Love & Pop" prima di andarsene si porta via il rullino cancellando nel contempo le foto.
Quando Hiromi se ne accorge nell'ultima sequenza, si abbatte sul letto demoralizzata, triste, sconfitta.
Lui le ha portato via le sue esperienze, la possibilità di ricordarle, di averle con sé.
Ma è veramente così?
Il tempo allontana le esperienze, la memoria si offusca sempre più, parecchie cose le dimentichiamo ma ... sono realmente perse?
Esiste una realtà ontologica che rispecchia i particolari?
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus
La rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi
(Bernardo di Cluny, "De contemptu mundi")
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